Un altro dei grandi vecchi se n'è andato. Questa volta ci ha lasciato Giorgio Bocca, decano dei giornalisti italiani nonché eroe riconosciuto della resistenza e padre della Repubblica democratica e liberale, almeno nelle intenzioni, e grande critico delle ipocrisie dei grandi e piccoli protagonisti della vita politica, civile e culturale del nostro paese per questi quasi 70 anni di vita repubblicana.
Un personaggio, quello di Bocca, discusso e discutibile, ma che è diventato intoccabile negli anni sia per la raggiunta senilità, sia per l'abilità con la quale egli ha costruito negli anni la propria leggenda, stando sempre dalla parte giusta, anche quando sembrava che fosse quella sbagliata, perché invece fu sempre incredibilmente capace di capire da con eccelso tempismo da che parte soffiasse il vento.
Oggi naturalmente è il giorno dei coccodrilli, degli encomi al collega e al maestro preparati da tempo, contenenti l'elenco delle sue opere fondamentali e di una carriera senza ombre, scritti e pubblicati da giornalisti e giornali tutti pronti a omaggiare lo scomparso, perfino quelli da lui spesso bastonati con critiche maligne, specialmente negli ultimi anni, quando era ormai assunto al ruolo di intoccabile totem dell'informazione libera nazionale.
Perché se c'è una cosa che saltava fuori chiara e limpida dalle parole e dagli scritti di Giorgio Bocca era la sua cattiveria, alimentata da un Io spropositato che lo portava a dileggiare e letteralmente schifare tutto quello che veniva fatto dagli altri.
Ma questo non è bastato per fargli mancare l'elogio funebre perfino da Marco Travaglio, da Bocca più volte fustigato, ma evidentemente timoroso di essere considerato fuori dal coro, se mancante nel cantare le lodi del grande Giorgio Bocca, anzi un grandissimo, come lo definisce il popolare Marco, che riporta stralci di un'intervista rilasciata recentemente dal giornalista di Cuneo, ma evita accuratamente di riportare i brani in cui critica pesantemente lui e il suo modo di fare giornalismo e scrivere libri.
Del resto ad essere pieni di dimenticanze e omissioni sono un po' tutti gli articoli dedicati a descrivere la lunga vita umana e professionale di Bocca: se quasi tutti ricordano la militanza del grande cuneese nel Guf, l'associazione degli studenti universitari fascisti, nessuno rileva che Bocca non fu un semplice iscritto, come tanti obbligati ad aderire al Partito Nazionale Fascista, Giorgio Bocca era uno degli esponenti più in vista tra i giovani fascisti del cuneese e i suoi articoli su "La Provincia Granda-Sentinella d'Italia", sulla quale il 4 Agosto 1942 scriveva perle come questa:
"Questo odio degli Ebrei contro il Fascismo è la causa prima della guerra attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza, infatti, sarebbe una vittoria degli Ebrei. A quale Ariano, Fascista o non Fascista, può sorridere l'idea di dovere, in un tempo non lontano, essere lo schiavo degli Ebrei?"In somma, come molti altri futuri padri dell'Italia repubblicana e democratica Giorgio Bocca, da quel rampollo della buona borghesia piemontese che era, già appariva pronto a scalare le vette del successo personale nella società fascista.
Ma le cose cambiarono rapidamente, come sappiamo, e già dopo l'otto Settembre del 1943 il giovane Bocca non solo non è più fascista, ma è un combattente partigiano, anzi il migliore tra i combattenti partigiani, giacché essere il migliore è nel suo carattere.
Da capo partigiano sarà duro e spietato, direi cattivo, come già spiegavo sopra, non esitando a firmare le condanne a morto di 5 militari repubblichini, ragazzi che fino a qualche anno prima avrebbe potuto incontrare a qualche adunata e salutare fraternamente.
La guerra partigiana non solo consentì a Bocca di cancellare gli anni di militanza fascista, ma gli diede la credibilità per iniziare una carriera giornalistica altrimenti difficile da giustificare con le qualità professionali e letterarie. Una carriera sempre sulla cresta dell'onda, ma con traiettorie alquanto bizzarre, passando da Il Giorno di proprietà dell'Eni di Enrico Mattei, senza che nessuno si sia mai azzardato a dargli del servo, passando poi ad una informazione da "opinionista", con il quale partorì brillanti teorie, come quella delle Brigate Rosse come un'invenzione dei servizi segreti per ostacolare l'avanzata del partito comunista.
Passato a La Repubblica, giornale del quale fu uno dei fondatori, si innamorò dell'esperienza politica del centro sinistra, diventando sincero (sic!) sostenitore di Bettino Craxi, almeno fino a quando lo scandalo delle tangenti definito "tangentopoli" lo convinse a sostenere con forza le rozze rivendicazioni della Lega Nord, con la quale probabilmente tornò a respirare l'aria di casa, quella delle montagne del cuneese e dei sentimenti razzisti, stavolta rivolti contro i meridionali, anche se l'antisemitismo di fondo non mancherà mai nella visione di Bocca.
Perché in fondo Bocca rimase sempre il ragazzo di 20 anni che scriveva sulla Provincia Granda e nemmeno faceva niente per nasconderlo: razzista, reazionario, omofobo cattivo e pure ottuso, ma la sua leggenda lo rendeva ormai immune da qualsiasi critica, continuando a ricevere invece lodi e complimenti perfino per libri vomitevoli come "Napoli siamo noi", un libro inchiesta che sarebbe stato impossibile da pubblicare, se non fosse stato scritto dal "Grande" Bocca.
Di una cosa sono sicuro: di Giorgio Bocca si perderà presto il ricordo e le sue opere verranno presto dimenticate come meritano, anche se il danno che hanno compiuto è grande, perché se i padri, o i nonni, della Patria sono questi non ci si può meravigliare che abbiano prodotto questi figli.