Magazine Opinioni

Guerra civile in Siria: perché Mosca dice no all’intervento

Creato il 25 luglio 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Elisabetta Terigi

Guerra civile in Siria: perché Mosca dice no all’intervento
L’emergenza sta diventando uno stillicidio. Non ci sono soluzioni all’orizzonte per le battaglie iniziate in Siria sedici mesi fa che hanno provocato, secondo il Centro di Documentazione per le Violazioni in Siria, più sedicimila seicento vittime, mentre per l’osservatorio siriano per i diritti umani molte di più: diciannovemila. L’Occidente vorrebbe intervenire con una risoluzione Onu e sanzioni più rigide, ma si scontra contro i veti di Cina e Russia. Intanto una cosa è certa: in Siria si sta combattendo una vera e propria guerra.

Riconoscere la calamità – Dal 15 luglio 2012 il conflitto siriano è diventato ufficialmente guerra civile. A dichiarare tale stato è la Croce Rossa. Se agli scontri nel paese era affiancata tale definizione, fino ad ora non era da considerarsi un giudizio ufficiale, ma un’opinione. Da metà luglio di quest’anno alcune zone della capitale sono free fire, ossia luoghi dove l’esercito può sparare senza preavviso. Allora la Croce Rossa ha annunciato che, in base al diritto internazionale, in Siria la guerra civile è totale.

L’importanza dei nomi - Sembra un particolare banale, ma non è una questione solo di definizioni. Lo spiega David Rieff su Foreign Policy: «Il fatto che il conflitto sia stato definito guerra civile aumenta le possibilità che le parti in causa possano essere accusate di crimini di guerra in base al diritto internazionale umanitario». In ogni caso un processo per crimini di guerra può essere avviato solo al termine del conflitto.

Prospettive future - Anche se Bashar al-Assad dovesse cadere, come ha ricordato Lucio Caracciolo direttore della rivista “Limes”, intervenuto durante la trasmissione radiofonica Radio Anch’io il 20 luglio scorso, si aprirebbe probabilmente una fase caratterizzata da tensioni e battaglie interne per il potere, visto che il fronte dei ribelli è tutt’altro che unito. La paura per il futuro siriano è una delle ragioni che spinge la Federazione Russa a opporsi a un intervento militare. Un paese, la Russia, a cavallo tra Oriente e Occidente, da sempre realtà multietnica dal forte potere centrale, che teme quindi ogni tipo d’instabilità che minacci i governi.

Russia e Occidente - Vladimir Putin, Presidente della Russia per la terza volta, ha le idee chiare. A poco sono servite le parole del Segretario di Stato americano Hillary Clinton che, il sei luglio scorso a Parigi in occasione dell’incontro degli “Amici del popolo siriano” con i rappresentanti di oltre cento paesi, aveva dichiarato: «Russia e Cina pagheranno un prezzo perché stanno bloccando i progressi e questo non è più tollerabile».

La metamorfosi – Negli ultimi tempi Mosca sembra essersi aperta: ha ricevuto in visita una delegazione degli oppositori al regime siriano e Kofi Annan, rappresentante speciale dell’ONU in cerca di un compromesso. Il 20 luglio è scaduto il mandato degli osservatori ONU in Siria. Mosca proponeva di rinnovarlo per altri tre mesi, le potenze occidentali volevano invece una nuova soluzione ricorrendo al capitolo sette della Carta delle Nazioni Unite: con la possibilità del ricorso alle armi. Con un prolungamento dell’attuale missione di 30 giorni per ora è stata la Russia ad avere la meglio nel braccio di ferro Est/Ovest.

Perché il Cremlino dice no ai militari in Siria – Nonostante le ultime aperture, l’attività diplomatica, il recente incontro con Erdoğan, la Russia non ha mai preso seriamente in considerazione la caduta del regime di Bashar al-Assad attraverso un intervento esterno. Le ragioni sono molteplici. Procediamo con ordine.

Le spiegazioni conosciute – Mosca – e questo non è una novità – ha interessi economici in Siria. Vende armi all’esercito siriano e ha una base navale a Tartus. Questi due elementi non sarebbero però determinanti. A sostenerlo, in un’intervista sul New York Times, è Ruslan Pukhov, direttore del centro analisi strategiche e tecnologiche di Mosca. Le armi vendute da Mosca a Damasco hanno rappresentato, nel 2011, solo il cinque percento del commercio russo nel settore: facilmente sostituibile quindi da altri clienti. La Russia vende inoltre armi a bassa tecnologia alla Siria per evitare tensioni con Israele e l’occidente. «La base militare di Tartus – prosegue Pukhov – ha un significato più simbolico che pratico». Non può essere utilizzata per supportare forze navali nel mare Mediterraneo e anche le uscite delle navi militari russe sono organizzate più per scopi dimostrativi che per reali necessità di rifornimento.

Le ragioni più nascoste – Al di là delle motivazioni economiche e strategiche, la causa del non agire russo è più difficile da comprendere e meno banale di quanto si pensi. Perdere il confronto con l’Occidente rappresenterebbe una sconfitta per la Russia che, con Putin, ha riscoperto il sogno di poter essere ancora una grande potenza. Konstantin von Eggert, opinionista politico per la radio russa Kommersant FM in un’intervista alla BBC, ha cercato di spiegare le scelte del suo paese. «Difendendo Damasco, il Cremlino sta dicendo al mondo che né le Nazioni Unite, né qualunque altra associazione o gruppo di nazioni, hanno il diritto di decidere chi deve o non deve governare in uno stato sovrano».

Oggi a te domani a me – Dalla caduta di Slobodan Milosevic nel 2000 e specialmente dopo la rivoluzione arancione in Ucraina del 2004, la leadership russa è ossessionata dall’idea che America e Unione Europea progettino di rovesciare governi che loro per qualunque ragione trovino inadatti. Il Presidente Putin teme, secondo von Eggert, che un domani il governo ritenuto “inadatto” possa diventare il suo. La classe politica russa insomma non accetta in nessun modo concetti come quello della “responsabilità di protezione” che mira a limitare l’abilità di governi autoritari a reprimere le loro popolazioni.

Un’amicizia che dura da settant’anni – Alla base della protezione di Mosca nei confronti di Damasco però c’è anche un rapporto consolidato nel tempo. Mosca è legata da oltre mezzo secolo alla Siria: dal 1944, quando l’allora URSS riconobbe il neo-nato Stato indipendente siriano, alla crisi di Suez nel 1957 con la firma di trattati economici e militari. Negli anni settanta e ottanta la Siria è poi diventata la principale nazione alleata dell’Unione Sovietica in Medio Oriente, una regione difficile soprattutto per la presenza di Israele alleato storico degli Stati Uniti d’America.

La miopia occidentale - Infine c’è un’altra ragione che spinge la Russia alla prudenza. Il pericolo dell’estremismo islamico all’indomani di un’eventuale caduta del regime di Bashar al-Assad spaventa il Cremlino. Mosca conosce bene quanto sia difficile tenere sotto controllo l’Islamismo. Gli zar prima e i segretari del partito comunista poi, hanno tenuto in vita una realtà multietnica che è diventata impero, ma mai nazione che, a suo modo, aveva un equilibrio. Chi era al potere si è ritrovato a gestire minoranze etniche, religiose, culturali e linguistiche in epoche in cui la vecchia Europa ancora non conosceva la possibilità di coesistenza tra popoli diversi. Le comunità musulmane hanno causato non pochi problemi al governo centrale fin dall’inizio: il dramma ceceno, non troppo lontano dalle terre siriane che ora bruciano, ne è un tangibile esempio.

* Elisabetta Terigi è PhD in Miti fondatori d’Europa nelle arti e nella letteratura e giornalista praticante presso la Scuola di Giornalismo Radio Televisivo di Perugia


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :