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Hamas: è un déjà vu la leadership politica di Mesha’al

Creato il 15 aprile 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Elisa Gennaro

Hamas: è un déjà vu la leadership politica di Mesha’al
Stato di massima sicurezza il primo aprile scorso presso l’hotel Intercontinental del Cairo dove si è svolto il voto per scegliere il capo dell’ufficio politico di Hamas. Alla riunione della Shura, l’organo politico di Hamas più importante che funziona da assemblea consultiva, erano presenti le leadership all’estero e quella in patria. Anticipatamente si erano svolte le “primarie” nei Territori palestinesi, tra i detenuti di Hamas e tra i membri in diaspora che della Shura fanno parte. Per il V mandato è stato confermato Khaled Mesha’al alla guida dell’ufficio politico, ruolo per il quale erano favoriti pure Isma’il Haniyya, premier di Gaza, e Musa Abu Marzuq, vice di Mesha’al. Alla ri-nomina di Mesha’al non ci sarebbero state opposizioni.

Haniyya è stato eletto vice di Mesha’al ed è la prima volta che questa carica viene ricoperta dalla Palestina, sostituendo Abu Marzuq che ora sarà il leader in esilio, curando la comunicazione in particolare con l’Egitto dove risiede in stretta relazione con la Fratellanza Musulmana di cui Hamas ne è espressione politica in Palestina.
Secondo le dichiarazioni rilasciate dagli ufficiali egiziani che hanno sorvegliato il processo di voto, le elezioni in seno alla Shura si sono svolte con il massimo della correttezza.

Il presidente ri-eletto - Sfuggito nel 1997 a un tentativo di avvelenamento da parte del Mossad in Giordania, Mesha’al ricopre questa carica dal 2004, anno in cui Israele assassinò a Gaza il fondatore di Hamas, Shaykh Ahmad Yassin, e il suo successore,‘Abdel ‘Aziz ar-Rantisi. Oggi ha 56 anni e continua a rappresentare l’espressione moderata del Movimento di Hamas pur sostenendo la resistenza con qualunque mezzo “fino alla liberazione della terra occupata da Israele”, principio questo, che sarà approfondito più avanti. A Mesha’al si riconosce il merito di aver saputo costruire relazioni internazionali che oggi, date le alleanze dietro le rivolte arabe, sono ancor più strategiche.

Sebbene abbia sempre vissuto fuori dalla Palestina storica, egli ha saputo mantenere, e migliorare, il coinvolgimento egiziano nelle singole trattative con Israele e, relativamente ai rapporti con l’Iran, ha lavorato ai canali di finanziamento della resistenza sul campo. In politica estera oggi viene ufficialmente proclamato il miglior interlocutore dai Paesi in cerca di una leadership regionale: Turchia, Qatar e, appunto, Egitto.

Per l’esistenza di tale patrocinio la ri-elezione politica di Mesha’al rappresenta una chiarificazione dei nuovi scenari regionali e delle macchinazioni estere dietro questa scelta. Non solo, ma le circostanze mediorientali hanno reso possibile scavalcare le disposizioni contenute nello Statuto della Shura secondo le quali non è permesso a un candidato di ricoprire la stessa carica per oltre due mandati consecutivi.

Ci sarebbero di fatto questi Paesi dietro l’insistenza su Mesha’al perché continuasse a guidare la carica politica di Hamas. Nonostante un anno fa egli avesse annunciato il suo ritiro, ha dovuto seguire invece il dettame giunto dall’esterno, cosa che aveva fatto capire già a dicembre scorso nella sua storica visita nella Striscia di Gaza in occasione del XXV anniversario della fondazione di Hamas.

Intanto al Cairo - Nelle stesse giornate l’Egitto ospitava una delegazione di Fatah che avrebbe incontrato i colleghi di Hamas per riprendere a parlare di riconciliazione nazionale alla presenza di Mahmud ‘Abbas e Haniyya. Sfortunatamente però il clima di soddisfazione interno ad Hamas e dei padrini qatarioti per il voto di Mesha’al non si è riscontrato nelle riunioni con Fatah. Il processo politico per l’unità nazionale si è riconfermato essere una perdita di tempo. Le principali espressioni politiche palestinesi, Fatah al governo in Cisgiordania e Hamas a Gaza, si sono ritrovate discordi sulla riforma della sicurezza, il maggior ostacolo di sempre alla formazione di un governo d’unità nazionale.

Ma è stata la richiesta del Qatar a gettare scompiglio. Il piccolo emirato del Golfo avrebbe proposto di porre Hamas sullo stesso livello diplomatico dell’Autorità Palestinese – AP (come ottenuto nell’ambito del lungo processo negoziale internazionale iniziato con Oslo). A questo scopo i Palestinesi sono stati invitati a partecipare a un Summit ad hoc in Qatar. Inutile aggiungere il rifiuto AP che alla questione diplomatica avrebbe posto delle riserve non soltanto per ovvi interessi faziosi, ma anche per il timore che da una simile eventualità potesse ritrovarsi finanziariamente isolata. La controproposta di ‘Abbas è stata: “Si al Summit, ma veniamo da soli come unico rappresentante politico e ufficiale del popolo palestinese”.

Il rischio di procrastinare l’occupazione per altri vent’anni

Mesha’al pubblica i punti salienti della politica di Hamas: principi e pratica - A fine novembre 2012, in occasione di una Conferenza organizzata dal Centro Studi e Consulenza Al-Zaytouna di Beirut, Khaled Mesha’al aveva tenuto un discorso che da lì a breve lui stesso avrebbe messo per iscritto. Nella dichiarazione presentava una sintesi delle sue posizioni e di quelle di Hamas su vari temi: politica palestinese, relazioni con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e AP, Rivolte Arabe e posizione da assumere nei riguardi dell’Occidente (USA e Europa).

Sul fronte interno - Per Mesha’al non esiste alcuna competizione con l’OLP di cui Hamas fa parte da poco più di un anno e non esiste la volontà di essere un’alterativa a nessuno, poichè la volontà sarebbe soltanto quella di cooperare. Stando alle parole di Mesha’al: “E’ nel quadro istituzionale dell’OLP e dell’AP in un governo d’unità che Hamas intende realizzare il diritto naturale del popolo palestinese”.

L’Unità politico-istituzionale si raggiunge nel quadro dell’OLP e previa la riforma delle forze di sicurezza. L‘attuale divisione (politica) non ci caratterizza e non riflette le nostre origini, né la realtà. Questa divisione ci è stata imposta dall’esterno in ritorsione per l’esito delle elezioni del 2006 che avevano portato all’ascesa politica Hamas (…) La libertà è un prodotto della liberazione, poi viene lo Stato da non intendersi come una pseudo – entità statale, né come un autogoverno tipo quello creato con Oslo. Piena capacità decisionale e indipendenza, senza ricevere dettami da nessuno; alleati o nemici che siano. Ciò non significa ignorare o sminuire il ruolo che la nazione arabo-islamica deciderà di svolgere riguardo alla Questione palestinese”.

Suonerebbero incoraggianti ed estremamente logiche queste affermazioni se non fosse che esse lasciano spazio al diritto di definirle “retoriche” dal momento che chi le pronuncia è personalmente e politicamente soggetto ai disegni di qualcun altro: i Paesi del Golfo che stanno ridisegnando la cartina del Medio Oriente. Non a caso nel 2012, fu lo stesso Mesha’al a lasciare la Siriaper non subire, né fare ingerenza negli affari esteri”, dirigendosi dritto in Qatar.

Sulla Resistenza - Mesha’al ripresenta le sue posizioni di sempre: “Resistenza palestinese con qualunque mezzo” e, chiedendo di riformare il linguaggio politico, invita i Paesi arabi a uscire dal tabù e finanziare la lotta, anche armata, dei Palestinesi. “La posizione dei Paesi arabi e la loro debolezza nelle rispettive politiche nazionali ha prodotto rabbia nelle genti, e vergogna per le modalità con cui i rispettivi governi sono stati interlocutori del conflitto israelo-palestinese”.

Le frontiere della resistenza invece non sono molto chiare: in altre parole, si legge in Mesha’al un’ambiguità che su questo tema aveva caratterizzato i toni usati a Oslo. “Se si dimostrerà di essere in grado di liberare la Palestina occupata (da Israele) nel 1967, allora il messaggio sarà univoco e favorevole a procedere alla liberazione di tutti i territori occupati”. Ma perché Mesha’al sceglie di partire dalla specificazione dei “Territori del ‘67?”.

Lungimirante e realista, capace di apprendere dalle lezioni del passato, Mesha’al ammette la possibilità che tra le file di Hamas sorgano ambiguità, errori, contraddizioni e incoerenza tra la teoria politica e la pratica e a tal proposito aggiunge: “Se ciò dovesse accadere, riguarderebbe solo la gestione delle decisioni, ma non si metterebbero mai a rischio i principi che sono alla base (delle decisioni). Questi principi non si possono cambiare”. E guarda ai propri compagni in Cisgiordania, gran parte dei quali sono detenuti da Israele, o su commissione dall’AP, e sottoposti a pressioni da più direzioni. “Prendiamo ad esempio l’assenza di una resistenza di Hamas in Cisgiordania. E’ la repressione ad averla causata, di certo qui non sono venuti meno i principi”.

Ma il leader palestinese così rispettato dai compagni di militanza sa bene, e lo dichiara, che affianco alla lotta armata sul campo è necessario promuovere sforzi politico-diplomatici, mediatici, nazionali e legali. “La resistenza è il mezzo e non il fine”, e anche per questo le fasi di tregua, nelle quali Hamas è stato un grande protagonista in questi anni, si considerano indispensabili senza tuttavia interrompere il corso della resistenza. “Se solo possedessimo altri strumenti per liberare la nostra terra, risparmiando tutto questo spargimento di sangue e il sacrificio dei Palestinesi, allora li useremmo”.

Rivolte arabe - Il neo ri-eletto capo dell’ufficio politico di Hamas si pronuncia a favore delle manifestazioni di protesta che nella regione chiedono strutture statali democratiche e liberà personali, lotta alla corruzione e indipendenza nelle scelte politiche.

Queste conquiste saranno le premesse per una migliore performance dei Paesi mediorientali nella Questione palestinese. La nazione arabo-islamica deve essere forte per portare la Palestina fuori dalla tragedia storica alla quale è stata relegata. Se la volontà popolare otterrà dalle rivolte arabe ciò che chiede, allora essa sarà garante di una continuità tra popoli in lotta e resistenza palestinese”.

Secondo Mesha’al i frutti delle rivolte arabe hanno condizionato, e continueranno a condizionare, le relazioni politiche del suo Movimento con l’estero. A tal proposito elogia quelle con la Tunisia e il Marocco che descrive “oggi migliorate rispetto al passato”. “Per questi principi Hamas è pronto a tollerare che per un breve periodo la Questione palestinese resti in secondo piano. Le rivolte arabe stanno creando i presupposti per una nuova epoca sulla strada della nostra liberazione”.

Per il leader politico di sempre, “interesse, sicurezza e piena indipendenza della nazione palestinese liberata non devono tuttavia escludere l’esistenza di relazioni estere che siano funzionali alla causa nazionale”, e Mesha’al, di relazioni internazionali ha lunga esperienza politica, formativa ed attuativa.

Occidente - Per Mesha’al: “C’è scarsa speranza per un intervento onesto da parte occidentale (USA ed Europa)”, come aveva affermato nel suo discorso nella visita a Gaza di dicembre. “Riponiamo piena fiducia nei Palestinesi”. Ciò detto, Mesha’al non smentisce l’esistenza di grandi relazioni con l’Occidente, lo stesso che da un paio d’anni a questa parte ha compiuto importanti passi per il riconoscimento semi-formale del Movimento alla guida del governo di Gaza, allentando il boicottaggio politico imposto dal 2006. Anche nella relazione Occidente-Questione palestinese Mesha’al interpone l’azione e le speranze dei Paesi arabi delle rivolte, ammonendo la nazione arabo-islamica dal porre la Palestina su un piatto d‘argento per nulla, come spesso è accaduto.

Se le rivolte arabe saranno caratterizzate da legittimità e le istanze nazionali proverranno sempre dal popolo e non saranno imposte dall’esterno, allora avremo garanzie anche per la nostra causa di liberazione”.

Hamas e i rimpastati della Fratellanza Musulmana in seno ai neo governi regionali - L’affermazione politica della Fratellanza Musulmana dopo decenni di persecuzione e di opposizione deve essere senz’altro motivo di orgoglio per un esponente di spicco di un’espressione nazionale della stessa. Ma, da buon palestinese, Mesha’al sa bene quanto sia rischioso privare dei meriti il resto delle fazioni palestinesi, escludendole dal successo politico. “Il fatto che ad affermarsi siano espressioni dell’Islàm politico, non significa che d’ora in poi in Palestina abbiano il diritto d’agire soltanto gli islamisti. Jihad Islamico ed espressioni popolari, sinistra, nazionalisti e liberali, a ciascuna tendenza politica va il riconoscimento e tutte hanno in comune l’interesse prioritario della causa nazionale. Il pluralismo è un elemento costitutivo della nazione palestinese, oggi lo ereditiamo in politica dalla nostra civiltà”: Mesha’al completa così il proprio discorso, includendo anche le realtà accademiche, religiose e gli indipendenti.

Con la sua ri-conferma, a Khaled Mesha’al oggi viene riconosciuta non solo la responsabilità politico-esecutiva, ma il riconoscimento implicito interno ed esterno è da intendersi in maniera ben più estesa. La ri-elezione è l’esito di una miscela di elementi: l’aver curato a livello personale e militante i rapporti con Egitto, Iran, Turchia e Qatar, evitando il coinvolgimento nel conflitto in Siria e senza intaccare il favoritismo che il Qatar ha accordato fornendo ai leader di Hamas in esilio piene garanzie (mediando con Israele), anche sulla loro incolumità fisica. Senza rompere la tradizionale linea di alleanze che lui stesso aveva creato, Mesha’al promette che resteranno aperti i canali di finanziamento esteri e s’impegna a non condurre i suoi padrini in uno scontro aperto a causa della Palestina.

Per la coesistenza di tutti questi attori, il processo attuale è estremamente delicato. Prendendo la politica il sopravvento sulla resistenza, si rischia di creare fratture interne ad Hamas, tra la leadership in Palestina e quella in esilio. La prima, più esigente sul fronte del sostegno alla resistenza, la seconda più attenta nella cura dell’immagine di Hamas alla luce delle relazioni con Qatar, Turchia ed Egitto. Questa relazione, ai limiti dell’antitesi, porta a galla un paradosso di fondo: l’azione politica della leadership in esilio rende possibile la sopravvivenza di quella sul campo. Attriti interni ad Hamas si sono letti tra le indiscrezioni riportate dalla stampa egiziana che ha seguito dettagliatamente le giornate di inizio mese e dalla quale si apprende anche come, dietro la scena del voto, Turchia, Egitto e Qatar si siano impegnati a continuare a finanziare Hamas qualora fosse stato ri-eletto Mesha’al.

A proposito di dipendenza politica - L’equazione Fratellanza-Hamas porta a pensare che la leadership palestinese al governo di Gaza sia sotto la tutela – e il controllo – dell’Egitto, i cui rapporti politici con Israele continuano a pieni ritmi. Nelle ore in cui si svolgeva il voto che ha portato alla ri-conferma di Mesha’al, agenti dell’Intelligence israeliana incontravano i colleghi egiziani nel nord della Penisola del Sinai. La combinazione Egitto-Gaza, l’interferenza del Qatar (un fedelissimo degli USA) nella politica del Movimento di liberazione islamista palestinese, e la volontà di tutti questi a ri-eleggere Mesha’al, fanno pensare che nella nuova formula mediorientale di pochi, Hamas ne faccia assolutamente parte nella sua espressione più moderata e più comoda a questi. Ma a Gaza si rischia di condurre l’impoverita popolazione in un conflitto settario bigotto, come sta avvenendo in Egitto, dove frange dell’Islàm politico (salafite) ora sfidano gli islamisti moderati al potere.

Già da qualche tempo la sede centrale del potere decisionale di Hamas si era spostata da Damasco al Cairo e verso la più lontana Doha, entrambe capitali della riconciliazione palestinese. In questo pseudo-processo che dura da due anni, nessuno ha realmente perseguito l’obiettivo dell’intesa politica palestinese, né si è voluto davvero rafforzare la struttura politico-istituzionale di cui i Palestinesi dispongono già: l’OLP. Si sta cercando di legittimare Hamas regionalmente (con l’avallo degli USA) e di metterlo nelle condizioni e nell’autorità di decidere una volta per sempre il destino del popolo palestinese.

Le conseguenze alle quali più verosimilmente dovremo assistere sono sempre le più rischiose per la causa nazionale palestinese e potrebbero essere nient’altro che una ripetizione degli eventi che interessarono la leadership di Fatah, piegata da Oslo.

Nello scenario ci sono: disputa tra leadership interna ed esterna (c’è già), mettere a tacere i dissidenti (opzione da niente se si considera lo stato in cui verte la Striscia di Gaza), fare piazza pulita della leadership sul campo (già la leadership all’estero decide per quella in Palestina), e scendere a patti con l’occupante (lo abbiamo visto nei toni ambigui sulle frontiere e lo dimostrano anche la retorica e l’appiattimento del linguaggio politico di Hamas). Per completare il quadro e il linea con la volontà dei propri padrini, Hamas deve rivedere le relazioni con i vicini: tagliare le relazioni con Al-Asad e condurre a un basso profilo quelle con Iran ed Hizbullah. Come era accaduto in passato, anche questa volta le questioni più importanti come il Diritto al Ritorno, confini e Gerusalemme saranno posticipate a data da stabilirsi.

Tolto tutto ciò alla causa palestinese, il prestigio – e le responsabilità – ricadono esclusivamente sulla persona di Khaled Mesha’al, personaggio politico carismatico, ma anche dalle capacità versatili perché abilissimo nel giocare più ruoli. Prudente e pragmatico quando si rivolge a un’emittente televisiva occidentale, determinato al limite dell’incitamento quando va in visita nella Striscia di Gaza, amichevole e incline a un dialogo con Israele, previo plebiscito del popolo palestinese, quando siede con Abu Mazen.

* Elisa Gennaro è giornalista pubblicista e Dottoressa in Lingue e Civiltà Orientali (Università “La Sapienza”)


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