Magazine Cucina
Veniamo adesso alla mia ricettina:
Ho fatto bollire per qualche minuti i pomodori secchi con acqua e aceto in modo da ammorbidirli leggermente.
Li ho scolati e li messo dentro i vasetti (previa sterilizzazione) pressando bene. Ho aggiun to qualche spicchio d'aglio, peperoncino, basilico, timo e poi ho sommerso di olio. A questo punto non resta che chiudere bene il vasetto e mettere in moto la fantasia confezionare in mdo carino la vostra preparazione. Spero che il mio risultato sia di vostro gradimento. Che ne dite? Avete qualche spunto da darmi per altre confezioni?
CuriositàRisale al 1555 il primo ricettario di conserve. E’ il “traitè des confitures”, scritto da Nostradamus, che, conosciuto come medico e astrologo, era anche un appassionato cuoco e frequentatore di laboratori di speziali. A lui dobbiamo l’invenzione di molte delle ricette ancora in uso, e tanti preziosi suggerimenti, come quello di utilizzare lo zucchero o il miele per conservare la frutta, o quello di preferire il mosto cotto se si vuole ottenere una confettura più rustica, per palati che amano i sapori decisi.
Storia sui metodi di conservazioneL’importanza di conservare i cibi è stata compresa sin dalla più remota preistoria, cioè sin da quando ci si accorse che carne, pesce, verdure o frutti si deterioravano e diventavanoinutilizzabili tanto più rapidamente quanto più alta era la temperatura circostante. La cottura,infatti, prolungava la durata dei prodotti, ma solo di un paio di giorni. Dunque, fin dall’antichità sono stati sviluppati sistemi atti a mantenere le vivande il più a lungo possibile, ed è evidente che le modalità di questo sviluppo sono dipese fortemente dalle condizioni geografiche e climatiche del territorio, e sono rimaste sostanzialmente invariate fino a quando la tecnologia ha sviluppato una serie di sistemi – dalla refrigerazione meccanizzata alla pastorizzazione, dalla liofilizzazione alla conservazione in ambiente protetto – che hanno reso il metodo di conservazione una scelta dettata dal gusto, più che una necessità.I metodi più antichi, quelli che non necessitano di alcun apporto tecnologico, sonol’essiccazione, l’affumicatura, la salatura, anch’essi noti, pare, sin dal tardo Paleolitico assieme ad una rudimentale refrigerazione in buche o grotte. A questi si sono aggiunti, col tempo, la conservazione sotto il grasso e quella per azione dell’alcol, dell’aceto, del miele o dello zucchero, o di una combinazione di questi ingredienti: si pensi alle marmellate, alle mostarde, ai chutney, alle verdure sottaceto o in agrodolce, e così via.Un approccio più “scientifico” fu introdotto nella seconda metà del Settecento, quando Nicolas Appert iniziò a sperimentare i procedimenti di sterilizzazione, facendo bollire i prodotti posti in contenitori inizialmente di vetro, poi di latta. Si scoprì in seguito che, oltre a mantenere i cibi più a lungo, questo processo elimina tossine pericolose come il botulino. Il suo effetto più immediato, tuttavia, fu quello di creare un nuovo, importante, settore produttivo, quello dei cibi in scatola. La prima industria di carne in scatola aprì a Chicago nel 1860, mentre in Italia fu il Piemonte ad aprire la strada: fu proprio a Torino, infatti, che nel 1875 Francesco Cirio iniziò la produzione di cibi in scatola. Assai diffusa era anche l’essiccazione, praticabile per azione del sole o del vento in condizioni di clima asciutto, dalle estreme propaggini settentrionali del continente europeo all’Africa sub-sahariana. Si pensi ai “festoni” di merluzzi o stoccafissi che campeggiano in tante immagini di paesaggi scandinavi, o anche alle distese di albicocche, fichi o pomodori messi a seccare sull’aia o sulla lobbia (il balcone) assolata delle cascine.Il passaggio dell’aria o l’esposizione al sole, favoriti dall’appendere i cibi (ad esempio ilpesce o la carne), o dal loro posizionamento su grate di vimini o reti, acceleravanol’evaporazione dei fluidi e quindi la disidratazione dei prodotti, bloccando l’azione degli enzimi e dei microrganismi che ne causano il deterioramento, ma possono sopravvivere e svilupparsi solo in presenza di acqua. Naturalmente, l’essiccazione deve avvenire in modo uniforme, dunque non deve essere troppo rapida, in quanto questo potrebbe determinare la disidratazione delle parti esterne, ma non di quelle interne; e non deve essere troppo lenta, perché altrimenti il deterioramento insorgerebbe prima del completamento dell’essiccazione. Il cibo, se correttamente essiccato, poteva mantenersi a lungo anche in condizioni climatiche sfavorevoli,e poiché l’essiccazione ne riduce drasticamente il peso e la massa, era facilmente trasportabile e costituiva una preziosa provvista. L’esempio più immediato è naturalmente il beef jerky, la carne secca dei pionieri americani, non troppo dissimile dal pemmican, la carne seccata, tritata e compressa degli Indiani d’America.Pratica forse altrettanto antica è l’affumicatura, un procedimento in cui il prodotto – soprattutto carne, pesce, selvaggina, pollame – viene esposto al fumo ottenuto dalla combustione senza fiamma di questa o quella varietà di legno, ciascuna delle quali conferisce al prodotto una diversa sfumatura del caratteristico aroma. L’affumicatura può essere a freddo (avviene cioè a temperature che non superano i 40°C circa), e in questo caso è di fatto un’essiccazione e aromatizzazione del prodotto. Oppure, può essere a caldo: le temperature possono raggiungere i 90°C, e quindi il prodotto, oltre che aromatizzato, è sottoposto a un processo di cottura.La salatura è invece un metodo in cui la disidratazione dell’alimento avviene per azione del sale, o di una salamoia, vale a dire una soluzione di acqua e sale, con l’eventuale aggiunta di aromi. La salatura non richiede particolari condizioni climatiche come abbondanza di sole o di vento, e può essere effettuata anche d’inverno, a patto naturalmente di poter disporre di abbondante materia prima, per l’appunto il sale. Era già ben nota ai Romani e ai “barbari”, le cui ricette per la conservazione delle cosce di suino si possono considerare precorritrici del prosciutto quale oggi lo conosciamo.Ma questo metodo di conservazione, come è noto, ha avuto grande importanza nell’evoluzione della cultura alimentare piemontese, oltre che nell’economia e nella storia di intere comunità. Il discorso risulterà più chiaro se da un livello generale il discorso si orienta sul caso specifico: le acciughe. Che, come tutti sanno, sono co-protagoniste, assieme all’aglio, della Bagna Cauda, il piatto-simbolo del Piemonte.Tutto nasce dal contrabbando del sale, per secoli un traffico tanto rischioso quanto redditizio per gli avventurosi passeurs che, stante il monopolio sul sale detenuto da Genova, eludevano dazi e gabellieri trasportandolo lungo le impervie "vie del sale" che solcavano le Alpi Marittime, in particolare le montagne del Cuneese. Valdieri, Vinadio, la Val Maira, Limone Piemonte, Dronero, sono solo alcune delle stazioni e destinazioni questo traffico. Uno degli stratagemmi più efficaci per nascondere il prezioso carico consisteva nel camuffarlo sotto le acciughe conservate, che a loro volta potevano essere vendute ai viandanti, ai pellegrini o a chiunque volesse procurarsi del cibo saporito, durevole ed economico. In epoca napoleonica, Genova perse il monopolio, ma le vie del sale non furono abbandonate, perché le acciughe salate erano ormai diventate protagoniste del non più illecito commercio. Molti contrabbandieri si trasformarono in acciugai, creando così non solo una tradizione, ma un’economia locale: con i loro carretti leggeri e robustissimi gli anciué furono per molto tempo figure tipiche nelle città ecampagne piemontesi, spostandosi di cascina in cascina, di mercato in mercato. Era unmestiere stagionale, il loro: terminati i principali lavori agricoli, gli acciugai lasciavano i campi per andare ad approvvigionarsi, inizialmente direttamente dai pescatori e successivamente presso i grossisti. Raggiungevano la Liguria ma anche luoghi più lontani, come la Sicilia e persino il Portogallo o la Grecia. Talvolta acquistavano la merce già pronta, altre volte si fermavano in loco da un anno all'altro per controllare direttamente i processi di salatura; in genere viaggiavano soli, ma talvolta erano seguiti dai figli adolescenti che così imparavano il mestiere,o anche dalle mogli.Di invenzione non molto posteriore rispetto alla salatura dovette essere la conservazione sotto grasso: dai rilievi e pitture di Pompei, ad esempio, si deduce che il grasso animale doveva essere impiegato nella conservazione di alimenti quali i formaggi. Successivamente, nel grasso sono stati conservati soprattutto carni e insaccati, come i salam ‘dla douja, o come i confit, che uniscono le tecniche della salatura e della copertura col grasso semisolido. Incidentalmente, dopo il consumo dell’alimento conservato anche il grasso era reimpiegato per le fritture o per altri usi domestici.Anche la conservazione di prodotti di origine vegetale ha sempre avuto un ruolo decisamente importante nell’economia domestica di territori che, come il Piemonte, dovevano affrontare inverni rigidi e improduttivi, e in cui quindi in cui la disponibilità di cibo conservato poteva influire in modo determinante sulla qualità della vita. Non solo perché le burnie (barattoli) di frutta sciroppata, di verdure variamente trattate, di conserve e marmellate diventavano un complemento gustoso al pranzo di Natale o alle occasioni speciali. Ma perché in alcuni casi i prodotti conservati diventavano indispensabili alla sopravvivenza. È il caso delle castagne, che storicamente hanno avuto, per le popolazioni delle zone alpine e prealpine che praticavano un’agricoltura di sussistenza, la medesima importanza che il mais e la polenta hanno rivestito per gli abitanti della “bassa”. Al punto che in molte zone il castagno era anche soprannominato l’”albero del pane”.Il metodo più comune per conservare le castagne era l’essiccazione, e a tal fine le borgatemontane disponevano di un essiccatoio comune, dove i frutti venivano lasciati per un paio di settimane su graticci e giornalmente rimosse, infilate in sacchi e battute per consentirel’asportazione delle bucce. Ricci, rami e foglie secche servivano da combustibile per il fuoco degli essiccatoi. Al termine di queste operazioni, si separavano le castagne rotte da quelle intere, parte delle quali era venduta. Le castagne essiccate – con questo, ma anche con altri metodi, a seconda delle zone e delle usanze locali - duravano a lungo, e si consumavano a poco a poco durante l’inverno. In genere venivano ammollate e poi lessate, e mangiate col latte, col burro, i salumi e il lardo, o erano l’ingrediente principale di zuppe e pietanze come la Vianda canavesana.Dalle castagne si ottiene anche farina, tradizionalmente prodotta con la molitura dei frutti in macine da talco. Ne risulta una farina finissima, quasi impalpabile, con la quale si realizzano preparazioni dolci e salate.
I prodotti sottovetro-sottovuotoPer prodotto sottovetro si intende qualsiasi alimento posto in vendita in appositi recipienti di vetro al fine di prolungarne il periodo di conservazione. Il sottovetro si può classificare in due grandi gruppi, quello dei salati e quello dei dolci. Un altro criterio di classificazione dei prodotti sottovetro può riguardare le modalità di conservazione mediante sostanze naturali, come olio, alcool etilico o bevanda spiritosa, sale, zucchero o liquidi di governo.
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