“Sono un uomo di confine, messo tra lingue e culture, tra mare e montagna”
“E adesso, vecchio barbagianni, questa fottuta frontiera ti mancherà (…). Diavolo, pensai, non c’è nessuna ragione per rimpiangere la frontiera. Prima aveva portato solo disgrazie.”
Paolo Rumiz “Trans Europa Express”
Chi non è di confine? Nasciamo sulla frontiera tra due mondi, quello di un padre e quello di una madre. Non è un confine fisso, stabilito da un ente extra-territoriale, ma una linea sfumata che si curva e si assottiglia a seconda degli eventi.
Nel mio caso il mondo di mia madre era il centro Italia, e poi la Francia. E poi è diventato la campagna veneta, ma le radici non ci si sono mai infilate bene. Il mondo di mio padre invece coincideva perfettamente col luogo in cui è nato.
Da un lato l’inquietudine, dall’altro la quiete.
Da un lato la voglia e l’ansia di esser sempre migliore, dall’altro la capacità di accontentarsi di pochi valori, ma costanti.
Da un lato il mare, profondo e pericoloso; dall’altro la montagna, sedimentata e… pericolosa.
E dall’incontro tra mare e montagna il risultato non è quasi mai un sinuoso profilo collinare.
Vero è però che le frontiere non portano solo disgrazie, come nel libro di Rumiz. A volte lo scambio di opinioni, anche se sembra inconcludente, semina.
A tavola, un giorno di tanti anni fa. Siamo in quattro: io, i miei genitori, e papa Woytila alla TV. Il pontefice parla dei poveri, dell’egoismo ecc… mia madre, stanca degli inviti a far donazioni ed elemosine, commenta qualcosa sulle ricchezze della Chiesa. Mio padre prima finisce di masticare (particolare importante!) e poi le chiede:
“Ma cos’è che vuoi, di più di quello che hai?”
Io, sei anni, in mezzo a guardare una tavola su cui non ci possiamo permettere nè la Cola Cola nè la Fanta, dovendoci accontentare dell’acqua addizionata con la Frizzina.
Quando vado a casa degli amici trovo sempre le bibite: gazzosa, Chinotto, succhi di frutta, pompelmo… da noi niente, non ci sono soldi.
E per questo sto con mia madre e ce l’ho un po’ con quel Papa che gira per il mondo mentre a casa bisogna organizzare una riunione di famiglia per decidere se posso andare in gita con la parrocchia.
Però non riesco ad andare contro al papà: in quello che ha detto c’è qualcosa che sento più vero della Coca Cola e della Fanta: “Cos’è che voglio, più di quello che ho?”
Non è solo una questione religiosa: se da un lato ho rifiutato la presenza assidua in chiesa di mio padre, dall’altro non ho neanche abbracciato l’amara laicità di mia madre. La linea di confine si è stabilizzata, fino a quando non lo so, su una spiritualità incostante ma che non se ne va mai del tutto.
Ma la questione è più ampia. Il confine dondola tra l’accettazione e la non accettazione, tra la voglia di Chinotto (o quello che rappresenta) e la voglia di accontentarsi.
Non è vero che la “fottuta frontiera” mi mancherà. Non può mancarmi semplicemente perché me la porto sempre dietro.