Un paio di settimane fa l’americano Blacksmith Institute e l’organizzazione ambientale indipendente Green Cross Svizzera hanno pubblicato un rapporto indicante i dieci siti più inquinati al mondo. Si tratta di dieci località in otto paesi diversi, tra cui due volte Russia (Dzershinsk e Norilsk) e Indonesia (il fiume Citarum e Kalimantan).
“È importante ricordare – ha affermato il presidente del Blacksmith Institute, Richard Fuller – che il problema si estende ben al di là di questi dieci siti.” Si ritiene che nel mondo, soprattutto nelle aree in via di sviluppo di Asia, Africa e Sudamerica, l’inquinamento ponga gravi rischi alla salute per almeno 200 milioni di persone. I siti in questione – sono almeno 3000 in tutto il mondo quelli inquinati da sostanze chimiche – sono spesso vicini a industrie pesanti, stabilimenti chimici o miniere.
Nella lista compare la città ucraina di Chernobyl, dove nel 1986 si è consumato il tristemente noto disastro nucleare, già inclusa in una lista simile nel 2006. L’incidente, che ha rilasciato oltre 100 volte la radioattività prodotta dalle bombe su Hiroshima e Nagasaski, ha coinvolto un territorio di circa 150.000 chilometri quadrati. Il reattore della centrale nucleare era stato sigillato in una struttura di cemento, ma si trattava di una soluzione temporanea destinata a durare non più di venti o trent’anni. Oggi tra le cinque e le dieci milioni di persone tra Ucraina, Russia, Moldavia e Bielorussia sono in pericolo a causa delle radiazioni.
Un altro sito spesso portato all’attenzione dei media è il delta del fiume Niger, in Nigeria. Si tratta di circa 70.000 chilometri quadrati densamente popolati, gravemente inquinati da fuoriuscite di petrolio e idrocarburi. Il suolo e le acque sotterranee sono stati fortemente danneggiati dalle operazioni di estrazione del prezioso carburante. Si ritiene che nel delta del Niger si riversino ogni anno 240.000 barili di grezzo a causa di incidenti meccanici ed errori umani. La filiale locale della Shell – a cui Greenpeace ha attribuito il titolo di peggior impresa del 2012 – è continuamente accusata di provocare gravi danni ambientali e un rapporto delle Nazioni Unite del 2011 ha confermato la colpevolezza della compagnia anglo-olandese per l’inquinamento da idrocarburi negli ultimi 50 anni. Recentemente, inoltre, Amnesty International ha accusato Shell e Agip di falsificare i rapporti relativi alle perdite nel corso dell’estrazione per attribuirle a inesistenti sabotaggi o tentativi di furto da parte delle popolazioni indigene.
Il rapporto di Blacksmith e Green Cross non si limita però a indicare i dieci siti più inquinati al mondo, ma tenta anche di far luce sui mutamenti più significativi avvenuti nelle località citate nelle liste del 2006 e del 2007. Un paragrafo dedicato all’India, in particolare, descrive come il Paese abbia fatto dei progressi lodevoli nel contrastare l’inquinamento e proteggere la salute dei suoi abitanti. Tra le decisioni del governo indiano a tale riguardo c’è la tassa sul carbone a cui dal 2011 sono soggette le miniere locali, e l’istituzione di un fondo per l’energia pulita – Clean Energy Fund – che riverserà sulle tecnologie per le fonti di energia alternativa fino a 400 milioni di dollari.
In definitiva, comunque, si tratta di piccoli passi intrapresi tardivamente. Ogni buona notizia riguardo al miglioramento di un sito è sommersa da molte altre che annoverano nuove località tra quelle rese pericolose dalle scorie chimiche. Ogni dimostrazione di buona volontà da parte dei governi allibisce davanti alle atrocità di cui si dimostrano capaci i grossi gruppi industriali.
Il mondo è sempre più in pericolo, e quello terrestre non fa che aggiungersi all’inquinamento dei mari. Quando capiremo che dalla salute del pianeta dipende la nostra vita, sarà sempre troppo tardi.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.
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