L’anno scorso i Memphis Grizzlies avevano stupito il mondo della palla a spicchi, andando a battere i San Antonio Spurs (1st seed) 4-2 nel primo turno dei playoff da 8th seed, diventando solo la quarta franchigia a fare questa impresa (dopo i We Believe Warriors del 2007, i Nuggets nel 1994 ed i Knicks nel 1999, anno del lockout), e poi lottando con gli Oklahoma City Thunder fino a gara 7, tutto questo senza Rudy Gay, una delle stelle della squadra, fermo a causa di una lussazione alla spalla sinistra procurata durante la regular season.
Quest’anno tutti si aspettavano grandi cose dai quei Grizzlies, ritenuti da molti esperti una delle possibili outsiders per il titolo in quanto squadra completa, fisica e profonda. Alla prova dei fatti però, dopo un’ottima regular season chiusa con il record di 41-25 valido per il 4° posto nella combattuta Western Conference, Memphis si è sciolta contro i Clippers, uscendo in 7 gare e perdendo quella decisiva in casa, da una squadra che, tolto Chris Paul (e anche lui a mezzo servizio per qualche acciacco), era davvero poca cosa, come dimostra lo sweep subito nel round successivo per mano dei seppur titanici Spurs.
I motivi, per questo che può essere considerato un semi fallimento, sono diversi, ma la mancanza di una gerarchia all’interno del roster ha pesato forse più di ogni altro. L’anno scorso ad esempio, senza Gay, Zach Randolph aveva preso in mano le redini della squadra, diventando l’effettivo go-to-guy e dimostrando di essere uno dei migliori low-post scorers della lega, terminando i suoi playoff con 22 punti e 11 rimbalzi di media. Quest’anno invece c’è stato un approccio più globale, di squadra, con molti giocatori in doppia cifra ma l’impressione che quando la palla scottava non ci fosse un leader manifesto (Gay? Randolph? Gasol?) che volesse la palla in mano.
Paradossalmente il ritorno in quintetto proprio di Z-Bo (nickname di Zach Randolph), dopo una regular season passata riabilitando i legamenti del ginocchio destro, forse ha scombinato la chimica di squadra ed i ruoli che si erano delineati partita dopo partita. Inoltre lo stesso Randolph non sembra essere lo stesso giocatore dopo l’infortunio ed è impietoso il confronto statistico con il Randolph dell’anno scorso. Quest’anno 14 punti e 10 rimbalzi, il 42% dal campo, il 63% dalla linea dei punti gratis, 0.9 assist a partita, contro i suddetti 22 e 11 di un anno fa, con il 45%, l’82% ai liberi e 2.4 assist a gara. Un altro giocatore che è letteralmente sparito nei playoff è stato O.J. Mayo, il leader della panchina di Memphis, che in regular season contribuiva con 12.6 punti mentre in post-season non ha mai trovato il bandolo della matassa, chiudendo con 9 punti a gara, le agghiaccianti percentuali di 27% dal campo, 29% da tre punti, e 2.6 palle perse in 23 minuti a partita.
Ora i Grizzlies si avviano verso un futuro incerto e senza gran spazio di manovra, con diversi giocatori in scadenza di contratto ed il salary cap ingolfato dai contratti del nucleo della squadra, Randolph, Gay, Gasol e Conley. Invece Mayo, Speights e Darrell Arthur sono restricted free agents e la proprietà dovrà fare qualche scelta perché sembra improbabile che tengano tutti e tre. Il rischio è quello di rimanere per anni la copia ad Ovest degli Atlanta Hawks, una squadra solida e completa, regolarmente nei playoffs ma senza mai veramente una chance di puntare al titolo. Randolph forse non tornerà mai il giocatore dominante che fu, mentre Gasol e Conley sembrano aver raggiunto il plateau delle loro abilità. L’unico che da l’impressione di non aver sviluppato completamente il suo potenziale è Rudy Gay. Da 6 anni in questa lega, ma ancora giovane (26 anni), da diverse stagioni le sue medie sono costanti, sui 19/20 punti di media e 6 rimbalzi, con buone percentuali ma senza la dovuta cattiveria agonistica che in NBA divide i giocatori forti dai campioni.
Se Memphis vuole avere qualche chance di puntare al titolo, la possibilità migliore che ha è che Gay faccia il salto di qualità che lo porti a leader indiscusso della squadra e ad All-Star nella lega.