Ci stavo pensando da una settimana. Mi era venuta voglia di calcolare quanta gente fosse passata sulla terra dall’inizio del genere umano. Sono sicuro che esiste qualcuno che lo ha già fatto, per cui deve esserci un percorso matematico valido per capire quante persone sono nate e morte fin ora. Aggiungendo la popolazione mondiale arriverei molto vicino al numero che cerco.
Dovremmo saperlo, credo sia utile per tutti. Sapere quanta gente è passata di qui. Ci stavo pensando da una settimana quando l’elicottero si abbassa per la terza volta.
“Devono aver sbagliato le coordinate, comandante. Non c’è niente qui.”
E’ strano doversi parlare attraverso le cuffie, visto che siamo a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro. La voce gracchia e fa male ai timpani, e il pilota grida dentro il microfono come se non bastasse. Mi da sui nervi.
“Fai un altro giro, allargati magari.”
Solleva la cloche e vira a sinistra. Non so nemmeno se si dice sinistra o manca, come sulle navi. La verità è che io non sono mai stato su un elicottero e l’immagine che avevo in testa era molto più romantica. Mi sembra di viaggiare su un aereo di infima classe, con i sedili che vibrano e fanno male al culo. Oltretutto le cinture stringono e faccio fatica a muovermi.
Brandinne, la volontaria svizzera è seduta di fronte a me. È una bella ragazza, ma piuttosto alta e le sue ginocchia toccano di continuo le mie, non è che mi dia fastidio il contatto ma il volo è durato sei ore ed è diventato piuttosto noioso. Anche perché lei non fa che scusarsi, nelle cuffie, col volume alto.
Sotto di noi non c’è nulla, se non il mare. Che da blu diventa marrone poi torna blu, chiaro, scuro, di nuovo chiaro. Marrone. È ancora agitato, ma non come nelle foto.
Aggiusto la cintura che mi comprime lo stomaco e mi fa mancare il fiato. Il pilota abbassa il fianco, mandandomi a sbattere contro il plexiglass, e si prepara ad un’ennesima picchiata.
“Pardon.”
“Non fa niente, Brandinne.”
Il bello di un calcolo sulla gente che è passata per il mondo, è che sarebbe un continuo gioco di addizioni, sottrazioni e bilanciamenti. Grandi sottrazioni, alle volte. Meravigliosi picchi negativi, concentrati e inaspettati in periodi di tempo relativamente brevi. Vuoti d’aria.
Scendiamo di nuovo, speriamo di capirci qualcosa.
“Il mare si sta agitando di nuovo, comandante.”
“Lo vedo, ma le coordinate le hai verificate?”
“Dalla Ohau confermano, gliel’ho chiesto tre volte. Non riescono a prendere nessun segnale, ma le coordinate sono buone.”
“Siamo i primi?”
“I tedeschi sono passati circa tre ore fa, ma il mare era troppo grosso per scendere.”
“Niente navi, immagino.”
“Non si può navigare nel raggio di sedici miglia.”
Stiamo cercando tre isole. Al largo della costa c’erano tre isole e adesso non le troviamo più. Qualcosa è passato e le ha inghiottite, masticate e digerite.
“Torno sulla rotta comandante, ripercorriamo i nostri passi.”
“Va bene.”
Yoshu è giapponese, l’unico giapponese che io abbia visto fin’ora. La sua famiglia si è trasferita alle Hawaii negli anni novanta. Stanno tutti bene. È seduto accanto a Brandinne e ogni tanto la sorprendo guardarlo con la coda dell’occhio e sospirare. Lui non ci fa caso, non ci pensa.
Siamo di nuovo in quota, l’elicottero adesso segue una traiettoria diritta, con il muso puntato verso il basso, per prendere le correnti. Sembra un animale alla carica, ma non sta andando da nessuna parte. Il pilota vuole prendere distanza per poi tornare indietro e ricominciare la ricognizione. Come per guardare il quadro nell’insieme, capire cosa ci siamo persi.
“Sul posto, comandante.”
“Scendi.”
“Come prima?”
“Come prima.”
Ogni volta che perdiamo quota il cuore mi sale in gola. Non è solo lo sbalzo di pressione, ma tutto l’insieme. Questa volta però, la sensazione è diversa, è la stessa di quando mi è squillato il cellulare e Zurigo mi ha chiesto di venire qui, con la prima squadra. È la stessa di quando, poi, ho visto le foto.
La virata è brusca, il mare sembra essersi calmato. Se non troviamo niente torniamo sulla nave e ricontrolliamo tutto. Brandinne mi afferra una mano, contemporaneamente la voce del pilota esplode dentro le cuffie. Il cuore fa un tuffo, accompagnando l’elicottero.
“Comandante, holy shit!”
Una mano, e alla mano è attaccato un braccio, e al braccio un corpo, e al corpo quello che doveva essere stato il tetto di un palazzo. In mezzo all’acqua marrone. Meravgiliosi picchi negativi, vuoti d’aria.