Non è facile spiegare il pessimo momento che stanno vivendo i Los Angeles Lakers. I motivi di questo inizio di stagione tribolato sono molteplici e hanno radici in tutti gli aspetti della franchigia più glamour dell’intera NBA. Dalle contraddizioni e i contrasti nei reparti più alti della dirigenza, passando per i dubbi tecnici dello staff tecnico fino ad arrivare ai problemi di collocazione sul campo e agli infortuni. Ma i Lakers non sarebbero i Lakers se ogni anno non ci fossero dei drammi interni, dei risultati altalenanti (nei quali la pepata stampa losangelina sguazza) e dei rumors di mercato.
Partiamo dal principio: in estate il mercato è di quelli col botto. Arrivano Dwight Howard al posto di Bynum e dal mercato dei free agent Steve Nash. A LA si pensa già a quale sarà la squadra da battere nelle Final 2013. La dirigenza poi conferma Mike Brown sulla panchina nonostante una stagione passata non esaltante e un feeling con il gruppo mai veramente nato. L’ex coach dei Cavaliers punta tutto sulla difesa, pur non avendo dei giocatori così pronti a sacrificarsi, lo spettacolo non c’è, la gente allo Staples dissente e così dopo appena 5 partite (1-4 il record) Brown viene licenziato.
Il flirt del GM Mitch Kupchak con coach Phil Jackson per riportarlo sulla panchina viene stoppato dal proprietario Buss che non vuole riaverlo, si passa così al piano B, Mike D’Antoni.
L’arrivo del coach col baffo non porta i risultati sperati, la squadra non è per nulla costruita per il suo gioco e al posto di correre si cammina. Inoltre Nash è fuori per infortunio (ancora per almeno due settimane) e Pau Gasol, che sembra già il pesce più fuor d’acqua rispetto a tutti gli altri, viene messo in lista infortunati per problemi di tendinite alle ginocchia.
La difesa dei gialloviola al momento è una delle peggiori dell’intera Lega, nessuna delle guardie è in grado di tenere l’avversario, quello che per anni è stato insignito del premio di Miglior Difensore dell’anno aiuta il giusto e spesso si fa trovare fuori posizione. Inoltre nessuno o quasi corre o è nelle condizioni fisiche e mentali di farlo.
Il ritorno in campo di Nash è atteso come il ritorno del Messia, il salvatore che può guidare il gruppo verso la vittoria. Sarà da vedere. Di sicuro il play canadese è il miglior interprete del gioco chiesto da D’Antoni e conosce perfettamente le richieste del suo ex coach ai Suns, inoltre il pick&roll che coinvolgerà Howard diventerà uno dei più pericolosi dell’NBA, permettendo a Bryant (che al momento sta facendo gli straordinari) di riposarsi un po’ per essere più lucido nei momenti che contano e tirando un po’ meno (finora quando il Mamba supera i 30 punti segnati i Lakers perdono sempre). Ma il vero problema resta la metà campo difensiva perchè Nash sarà ancora più alla mercè degli avversari più giovani, freschi e atletici, Bryant continuerà a non difendere per scelta per non sprecare troppe energie per la fase offensiva, e Howard non vorrà aiutare troppo per non commettere falli che lo estrometterebbero dalla gara.
In tutto questo poi c’è il caso-Gasol: lo spagnolo ha chiesto di avere più palloni in post basso, dove si sente veramente a suo agio, non riconoscendo il gioco voluto da D’Antoni come adatto alle sue corde. Il problema è che per lasciare spazio ad Howard e Nash, l’area deve essere sgombra e quindi c’è bisogno di un 4 perimetrale che punisca i raddoppi con il tiro da fuori. Di conseguenza i rumors di mercato attorno a Gasol si sono moltiplicati negli ultimi giorni, soprattutto da quando è fuori per infortunio.
I playoff nella Western Conference non sono così automatici da ottenere e il record attuale dei Lakers è 10-14, molto lontano dall’ottava posizione (che sarebbe comunque un fallimento per una squadra con un monte salari da $113,561,362). Serve un cambio di rotta, non solo nei risultati ma quanto nella convinzione e nella faccia da mettere in campo da parte dei giocatori. E il cambio di rotta serve in fretta.