"I novellieri non hanno immaginato che la Bella Addormentata nel Bosco si sarebbe svegliata coperta da una spessa coltre di polvere; non hanno neanche immaginato le sinistre tele di ragno che al primo movimento i suoi capelli rossi avrebbero spezzato. Tuttavia tristi strati di polvere invadono senza fine le abitazioni terrestri e le sporcano uniformemente: come se si trattasse di disporre le soffitte e le vecchie camere per l'entrata delle ossessioni, dei fantasmi, delle larve che l'odore tarlato della vecchia polvere sostanzia e inebria."
Provava l'insopprimibile esigenza di pulire ogni cosa, producendo all'occorrenza fastidiosi scricchiolìi nello strofinare inesausto ogni sorta di oggetti e mobili (d'ora in poi: le vittime), perché tutto doveva essere lindo, trasparente, cristallinamente puro fino allo scricchiolìo. Addirittura, dopo, nonostante gli amici invitati, trovò il modo di strofinare con cospicuo detersivo multischiumante la scopa, appena utilizzata per eliminare gli ultimi millimetri di polvere. Lei svolazzava per casa, capelli al vento e tenuta sportiva, pronta a cogliere in flagranza di sporcizia ogni insospettabile angolino. Lo faceva con un entusiasmo febbrile, a tratti idiota; nei suoi occhi c'era dell'odio, checché ne sembrasse e a dispetto di tutta la legittimità morale di cui gode socialmente l'igienismo estremo. Aveva un approccio, come dire, aerobico alla gestione della Casa™. Presente le istruttrici di fitness americane di certe videocassette anni '80, con quell'aria stupidamente operativa che sprizza da ogni goccia di sudore? Si respirava un'aria di ospedale, di igienizzante, di Ambipur in agonia. Le dicevo ehi rilassati, può andare, dai è pulito. "Guarda, io sono fissata, per me la pulizia è imprescindibile", e giù a smacchiare l'ennesima chiazza invisibile.
Questo è l'esempio più estremo che mi viene in mente, ma ho potuto constatare che questa perversa forma di sadismo - tale è infatti - è un fenomeno molto diffuso. L'igienista programma la sua giornata sapendo che una parte enorme, e sottolineo enorme, di essa andrà quotidianamente destinata a rendere i pavimenti degli specchi su cui rimirare il proprio deterso viso e i cessi delle abbaglianti bomboniere di porcellana, e che ciò dovrà essere fatto con sadica meticolosità e gusto della ripetizione. So di una tizia che non esce mai per lucidare, ogni giorno, le tapparelle: tratto da una storia vera. Tale è l'infaticabilità in questo esasperato, inesausto, sempre uguale compito (si sporcherà tutto di nuovo!), che viene il dubbio: forse sotto sotto l'igienista vorrebbe distruggerla, la sua casa, a suon di smacchiate?
Il fenomeno diventa antropologicamente devastante quando ci troviamo di fronte a una mamma con bambino piccolo. La donna non riesce a farsi una chiacchierata, a lasciare libero il bimbo di esplorare, di sporcarsi e insomma di fare tutte quelle operazioni che gli consentono di conoscere se stesso e questo nuovo pianeta sul quale gli è toccato di venire a esistere. Il bambino deve giacere, con una comoda camicia di forza, sul passeggino a contemplare la verità dell'essere, accontentandosi al massimo di un modesto dondolìo, o di qualche giocattolino noioso di cui vorrà saggiare la resistenza alla distruzione menandolo ripetutamente a terra, cioè " dove non doveva". Sicché a ogni tentativo di distruzione del giocattolo, la donna parte con la sterilizzazione compulsiva e con il mantra del "non si fa", per sterminare uno per uno i germi e dopo, solo dopo, restituirlo solennemente al suo bambino - che per tutta coerenza ripeterà la stessa operazione. Ad una festa per bambini c'era una donna, tutta corrucciata, tesa e rigida come un manico di scopa, che perseguitava il suo bambino che voleva rotolarsi a terra. Se io fossi stata quel bambino, ce l'avrei avuta a morte con mia madre - dio buono, lasciami rotolare come mi pare su queste fresche piastrelle! Ma la vita è dura sin da piccoli.
Per questo sono felice di aver conosciuto E., una mamma fuori dal coro, come si dice. Lei mette sua figlia per terra e le fa ciucciare ogni cosa. Ok, sarà l'estremo opposto, ma io la ammiro - è di una tranquillità invidiabile, lei e anche sua figlia in breve se la godono, e se ti sporchi no problem, tutti anticorpi. E' più importante l'esplorazione libera della figlia rispetto all'ansia della madre. Del resto, E. è una con cui ci mettiamo lo smalto davanti a un tè mentre i bambini giocano, senza troppe masturbazioni persecutorie. (Off topic. Devo ringraziarla: dopo secoli, è riuscita a farmi mettere lo smalto. Per giunta rosso fuoco).
L'igienismo e la mania dell'ordine, quell'approccio maniacale, perversamente classificatorio, che tassonomizza l'oggettistica amministrandola con morbosa persecuzione del dettaglio, spesso vanno a braccetto. " Non so più cosa fare", mi disse D. col cuore in mano, mostrandomi l'armadio. Le camicie del suo compagno erano ordinate per sfumatura di colore, dal verde acqua al verde cespuglio, passando per tutte le tinte di viola e di lillà secondo un ordine meticolosamente crescente che mi ha ricordato la tavolozza di paint. Il problema, in realtà, è che a organizzarle per sfumatura cromatica doveva essere lei, dopo avergliele accuratamente stirate. Questo è un problema grosso. E secondo me tutto questo ordine nasconde qualche altro disordine.
Quanto a Gigia, le voglio bene, ma quando sono da lei ho il terrore di deambulare, inspirare ossigeno, muovere le palpebre, in una parola esistere. Ogni piccolo gesto potrebbe violare l'ordine sacro della Casa™. Se sposti una sedia puoi rovinare il parquet. Non sfiorare il muro, mi si destruttura l'intonaco. Fai piano con la maniglia della porta, potrebbe rompersi, è un pezzo raro. Io sudo freddo, deglutisco a stento. Gigia è un fascio di nervi, e io cerco la più vicina via di fuga per scomparire per sempre.
Chi è più vivo, la casa o colui/lei che la abita? E' una bomboniera, un museo, o una casa? Quasi quasi tratteniamo il respiro e ci menomiamo tutti i movimenti perché viva lei, la casa, e non noi. Una casa impersonale, più viva di quelli che la abitano, ricorda tutto questo giornalame sull'arredamento in omaggio con i rotocalchi: tale sembra la casa di costoro, un oggetto da giornalizzare, un monito morale, un ambiente normativo, minacciosamente perfetto.
Ora, lascerò a chi se ne intende il divertente compito della diagnosi e della terapia - ché io consiglierei la visione dei film di Ciprì e Maresco, con la loro estetica del brutto e dello sporco, per riconciliarsi con certe rimozioni, ma non gli piaceranno e forse è meglio procedere per gradi. Ma è certo che dietro quest'ansia che obbliga il corpo e la mente a una continua tensione dei nervi che sfocia nella coazione sadica a pulire, si nasconde qualcosa di sinistro. Devo eliminare ogni scoria, il nemico può essere ovunque. Può sterminarci tutti. Che so, una mania di persecuzione: una curiosa forma di complottismo domestico. L'igienista ha bisogno di questo rito ridondante perché gli dà sicurezza. Questa ripetizione, dopotutto, è l'unica certezza in questo mare di incertezze che è la vita, e bisogna ripeterla fino alla nausea, portandola alle estreme conseguenze, in modo da evitare scrupolosamente il confronto destabilizzante con lui, Il Nulla. Mi sembra infatti che questo sport estremo dai contorni sadomasochistici rappresenti una dis-trazione dalla vera questione: la vita. Come nella burocrazia, ci si deve costruire una routine incomprensibile, il cui motivo originario va progressivamente smarrito, per frapporre tra noi e la vita un rito rassicurante e assurdo, una barriera protettiva, una dislocazione delle paure.
Dicevamo, c'è dunque del sadismo dietro tutta questa pretesa legittimità, dietro tutto questo credito morale di cui gode l'igienismo estremo. La pulizia impeccabile è del resto una promessa di purezza che viene sconfessata continuamente, perché I Germi™ sono sempre in agguato e li produce lo stesso corpo umano (ma questo non diciamolo ai personaggi qui citati, meglio fingere di non saperlo). Tanto più che ho il sospetto che quel che interessa veramente l'igienista estremo non è, al fondo, la pulizia.
Forse pulire ossessivamente è un canale di sfogo per certi turbamenti. Forse c'è l'ansia legata al fantasma del senso di colpa per le madri: non sei una brava mamma se non pulisci continuamente tutto. Quindi il pulire ossesso diventa un modo per dire: ehi, sono una brava mamma, sono la più brava delle mamme. E la genderizzazione di questo fatto deve farci pensare: tutta l'ansia di approvazione, tutto il perfezionismo molesto e balordo, tutta quest'ansia da prestazione è stata addossata al genere femminile; ma ci sono molti maschi maniaci dell'ordine, però lo delegano alla femmina e quindi torniamo al punto di cui sopra. C'è poi quella premura tutta borghese di "essere presentabili": viene un ospite, mettiamo tutto a posto, e, se c'è, chiudiamo a chiave la stanza disordinata. Mi viene in mente il famoso proverbio dei panni sporchi da lavare in privato...
"Vedi, io sono normale. Sono una persona perbene, come tutti voi. "
La sporcizia è, simbolicamente, la sede di tutto ciò che è stato rimosso - che si è voluto rimuovere, ma fallendo nell'intento: essa, sbattuta fuori dalla porta, rientra dalla finestra - con la civiltà, perché ci ricorda la nostra essenza animale, il che in una civiltà edificatasi sull'Ego Puro™ cartesiano non è un complimento. Ha a che fare con il corpo, con il contatto, cioè con tutta quella sfera di esperienze che ha rappresentato per secoli Il Proibito. Nell'igienismo estremo c'è un terrore superstizioso della contaminazione, il terrore di perdere il controllo - e, sembra, anche una specie di rivalsa del soggetto sull'oggetto, come per prevenirne l'annientamento: è un modo per affermarsi sull'ambiente, per dirsi "io esisto", espandendosi insieme con il lucidante.
C'è lo stesso gioco al massacro di cui parlavamo molto tempo fa, ottimamente illustrato da Polanski: nell' Inquilino del terzo piano non si parla direttamente di igienismo estremo, ma del purismo dell'udito, che secondo me è solo l'altra faccia di un fenomeno al fondo uguale. Quel disgraziato del protagonista finisce per camminare in punta di piedi in casa sua, trattenendo il respiro, per evitare di disturbare i vicini irritabili al minimo rumore, i quali assumono fattezze via via più grottesche, mostruose, persecutorie. Alla fine la fa finita, vestito da donna, da una finestra del palazzo, con tanto di applauso del pubblico: i vicini aguzzini. Il film mostra che c'è un di istinto di morte dietro tutte queste piccinerie ansiose che la gente somministra a se stessa e al prossimo - vedi per esempio la casistica del coinquilino di merda, dove l'archeologia della muffa e l'ostilità morbosa nella convivenza si concentrano minacciosamente nell'impulso all'annientamento reciproco. Ho aneddoti che voi umani. Per esempio una mia amica ha il terrore di vivere in casa sua, a causa del sadismo della sua coinquilina, mascherato da legittimo scrupolo - ah! le buone intenzioni! - per l'igiene ospedalizzante e l'ordine museale.
Sicché la casa non è più la sede di ogni familiarità, sicurezza, vita e calore, ma diventa estranea e ostile, una specie di tribunale dove il giudice sadico - che quasi gode nella punizione - e l'imputato, coincidono nella stessa persona dell'igienista estremo.
Questo non significa certo che stiamo a fare l'elogio della sporcizia, significa soltanto che chi pulisce e ordina troppo non ce la racconta giusta. In genere ho il massimo rispetto per le ansie: ma per questa no. Perché in questo genere di ansia c'è troppa compiacenza, troppa frigidità, troppa ipocrisia. Fortuna che finora non mi è mai capitato nessuno che mi obbligasse a mettere le pattine per entrare in casa, altrimenti avrei sbroccato.