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Il bus dell’orrore

Creato il 07 aprile 2012 da Paperoga

Il bus dell’orrore

Io odio l’autobus. Maledetto sia l’autobus. Necessario, ecologico, politicamente corretto quanto volete, ma è un insopportabile ammasso di ferraglia che ho sempre tenuto distante, quasi intravedessi forze demoniache agitarsi in esso. Se per una vita intera, fin quando ho potuto, ho preferito smazzarmi kilometri a piedi come un marciatore olimpionico anzichè saltar sopra un bus, un motivo ci sarà. Anzi, ce ne sono a paccate di motivi ziocane. E ve ne cito alcuni, a puro titolo di esempio.
1) Il mal d’auto.
Ho sempre sofferto il mal d’auto, sin da bambino. Auto, pulmann, camion sidecar o trattore, non cambiava nulla. Senso di nausea e, nei casi più gravi tipo stradoni di montagna, carriuolate di vomito in stile “posseduto”. A salvarmi, a 18 anni, fu la patente. Come accade a molti, il mal d’auto scompare quando guido, e siccome in quasi 20 anni di patente sono state ben poche le occasioni in cui ho fatto da navigatore o viaggiatore sul sedile posteriore, ho avuto modo di tenere lontano ogni malessere. Il treno, poi, dio lo benedica, mal d’auto non te ne fa venire, bello liscio e diritto come una spada che si conficca placido nelle campagne emiliane.
Quando ho rimesso piede su un autobus, a dicembre, il mal d’auto è cominciato subito. Ho provato a mettermi davanti, in mezzo, di dietro, nel verso della marcia, nel verso opposto. Seduto o in piedi. Niente da fare. Anche a star fermo senza fare niente di niente, lo sballottamento, le frenate, le curve, le fermate continue, mi fanno venire un mal di mare manco fossi su una scialuppa in mezzo al mar. Quando scendo dopo una mezz’oretta di marosi, ho il viseo terreo colorato di un verde pallido, barcollo sul marciapiedi, arrivo a casa e mi ci vuole mezz’ora per mandar via quel vuoto cosmico spanzato sulla bocca dello stomaco.
2) L’autobus puzza.
L’autobus è un luogo ristretto in cui si trovano viso a viso, gomito a gomito, ascella ad ascella un numero impressionante e incostituzionale di persone.In disparte dal fastidio e dal disagio di ritrovarsi attaccati al culo una gragnuola di estranei, la prima conseguenza di questo assembramento è che l’autobus più pulito c’ha la rogna. Un odore di persone sudate, quando non intrise di sporco, di capelli non lavati, di ascelle pezzate, di scroti cristallizzati.
E poi le persone che non si lavano. Non ho pregiudizi sociali e tanto meno antropologici contro di loro (conosco fior di gente lavata e profumata che appenderei volentieri ad un muro), ma ho pregiudizi olfattivi, moltissimi progiudizi olfattivi. La puzza di uomo che non si lava è seconda solo, credo, alla puzza del suo cadavere che comincia a decomporsi. Diciamo che tra uomo vivo e uomo morto, uomo che non si lava è il perfett stadio intermedio tra la pulizia e l’inizio della decomposizione. Quindi mi sta terribilmente sul culo viaggiare incollato a gente che non si lava. E su un autobus di questa gente, di ogni età e livello sociale, se ne incontra a pacchi. E distanze di sicurezza è difficile crearne, visto che si sta stipati come sui treni merci.
3) L’autobus è lercio.
Problema questo assai comune a qualunque mezzo pubblico: le persone sono bestie, si sa, e appena una cosa non è di stretta proprietà, riemergono tutti gli istinti primordiali che per migliaia di anni ci tennero inchiodati ad uno stato evolutivo non troppo dissimile da quello scimmiesco. Il bene pubblico è il bersaglio del vandalismo e dell’incuria della gente, quindi non è colpa dell’autobus in sè se le superfici sono imbrattate ed unte, se ai piedi dei sedili ritrovi di tutto, dalle unghie mangiate alle caccole spinte via con l’indice fino a cicche spente dentro cingomme appiccicate e seccate.
3) Autisti camionisti.
Il rullìo e beccheggio costante dell’autobus, che tanto dolore mi provoca, è dovuto anche alla proverbiale guida dolce dei conducenti, dietro la cui quieta immagine si nascondono camionisti strappati a folli corse sulle interprovinciali americane in pieno stile “Duel”.Di botto senti accellerare, sbuffare, rumoreggiare il motore, vieni sbalzato all’indietro un attimo prima di venire proiettato in avanti dalla frenata d’ordinanza che inchioda davanti ad un semaforo, una striscia pedonale, un pirla che taglia la strada. Le fermate, poi, gli autisti-camionisti le individuano sempre troppo tardi, costringendo te che aspetti in piedi di scendere di aggrapparti come una lap dancer al tubo verticale, mentre inermi vecchietti vengono scagliati in avanti di tre metri senza poter opporre alcuna forza inerziale mettendo così fine alla preziosa unità del proprio femore e bacino.
4) L’insostenibile variabile dell’orario.
Ma la cosa che più in assoluto mi fa saltare in nervi e mette in pericolo la mia abituale karmica atarassia, è la questione dell’orario.
Ora, premesso: non vivo a Roma ( non vivrei mai a Roma, neppure se mi dessero il doppio dello stipendio che ho adesso. Forse manco il triplo. Per il quadruplo parliamone). Non vivo a Roma e dunque non sono soggetto ad attendere per decine e decine di minuti un autobus che non si sa quando dovrebbe arrivare, nella giungla urbana di una barzelletta di Capitale in cui figurati se sanno organizzare servizi pubblici lievemente al di sopra del livello di mediocrità.
Vivo in Emilia, e qui i trasporti funzionano decentemente. Cinque, massimo dieci minuti di ritardo si tollerano. Dovunque cartelli elettronici che ti avvertono degli arrivi. Sembra il paradiso dell’efficienza. Ma il dramma è che tutto funziona pure troppo. Perchè capita, e non  raramente, che l’autobus arrivi e se ne parta in anticipo sull’orario. In anticipo. Ennò, cristo. In anticipo no. Io, che vivo sul filo di un calcolo minutale programmato alla perfezione, io che scandisco i miei spostamenti quotidiani con l’occhio all’orologio ed arrivo sempre in perfetto orario, mai troppo prima e comunque mai dopo, ecco io impazzisco quando vedo l’autobus sfrecciarmi davanti e fermarsi là dove sarebbe dovuto passare un minuto dopo, e ripartire bellamente lasciandomi arrivare in orario alla fermata ma fatalmente mazziato.
Ora, io ammetto il ritardo, è umano. Ma non  l’anticipo. L’anticipo è contro natura. E poi per me è un’umiliazione perdere in questo modo l’autobus. E’ madornale, è ingiustizia allo stato puro. Incostituzionale, profano, sacrilego. In un mondo più umano, qualora un autobus mi svicolasse via in anticipo sotto gli occhi, dovrei essere dotato per legge di un fucile a pompa, o quanto meno di una cerbottana, per intercettare le gomme dell’autobus, forarne un paio, piombiare sul mezzo in panne come Commando, far scendere l’autista con le mani alzate dietro la testa, farlo girare di schiena  e poi smollargli un poderoso calcio nel culo a futura memoria.
Detto questo, assodato questo mio odio viscerale per l’autobus, come fare per andare a lavoro? In bici, mi stirano. A piedi, ci metto un’ora. In macchina non se ne parla. In taxi magari, se prendessi 10mila euro al mese. Ma se qualcuno si offre con un risciò, possiamo metterci d’accordo.



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