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Il Caffettiere ambulante

Da Antonio

A Napoli, fino a tutto il ‘700, il caffè non ebbe gran successo. Notizie su questa bevanda circolavano nella città partenopea dai primi del ‘600, grazie al viaggiatore romano Retro Della Valle che ne parlò nella sua corrispondenza da Costantinopoli, o negli scritti della Scuola Medica Salernitana risalenti al XIV secolo. La vera e propria diffusione del caffè a Napoli avvenne solo nei primi anni dell’800, quando comparve la figura del Caffettiere ambulante.
Il Caffettiere ambulante iniziava a lavorare alle otto della sera, quando chiudevano i bar di Toledo e di Chiaia, di Porta Capuana e della Ferrovia, le zone della città più frequentate di sera tardi e di notte. Fino all’alba serviva i nottambuli, gli operai e tutti coloro che erano costretti a vivere una serata o una nottata fuori casa. Qualche ora dopo l’alba invece si infila in tutti gli uffici per servire il caffè ad impiegati, dirigenti, signorotti in genere.
Lo si sentiva aggirarsi per le strade e con voce stridula offrire il caffè: «Vulite ‘na tazzulella ‘e cafè?», questa era la frase convenzionale e ancora oggi di gran moda a Napoli, seguita di solito da: «C’o latte t’aggio fatto doce doce! ‘O cafettié…».
Per i poeti talvolta aveva sembianze femminili: «Cafettera, cafetté / damme ‘na tazza ‘e café / bbona e doce comm’a tte!»
Su un vassoio portava due tremmoni (contenitori) pieni di caffè e di latte; nell’incavo del braccio una cesta con i bicchieri, lo zucchero, le bottiglie di rum e anice (‘o senso) e alcune tazze sospese agli uncini.



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