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Il cristianesimo rifiuta l’imposizione della fede

Creato il 14 ottobre 2013 da Uccronline

Critica alla teologia politica 

di Marco Fasol*
*saggista e professore di storia e filosofia

 
 

Il 1700° anniversario dell’Editto di Milano, promulgato da Costantino nel 313, ci invita a riflettere sui rapporti tra teologia e politica. Al riguardo è uscito di recente un interessante saggio di Massimo Borghesi, docente di Filosofia morale all’Università di Perugia, dal titolo Critica della teologia politica, da Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana. (Marietti 1820, Genova-Milano 2013). Questo saggio è stato presentato al Meeting di Rimini di quest’anno, con la partecipazione di Antonio Socci e del teologo Stefano Alberto.

La svolta costantiniana, sostiene Borghesi, introduce nella storia una nuova epoca, in cui per la prima volta la religione viene dissociata dalla politica. Per l’Impero romano la religione era evidentemente al servizio della politica romana di dominio e di espansione. Non per niente a partire dall’imperatore Adriano, il tempio più grande dell’Urbe era proprio quello dedicato alla dèa Roma, la protettrice dell’Impero. Ed in occasione di tutte le feste pubbliche, nelle centinaia di stadi ed arene dell’Impero, venivano esibite le statue gigantesche di Marte e Venere, la coppia divina della guerra e della fecondità dell’Impero.

Con Costantino e con il suo Editto si ha la svolta: la religione viene dissociata dalla politica ed ogni cittadino è libero di abbracciare la religione che vuole. E’ difficile per noi, uomini del Duemila, comprendere la portata giuridica, ma anche esistenziale e politica di questa novità. Finalmente viene giuridicamente sancita la separazione della politica dalla religione. “Date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quel che è di Dio”.  “Il mio regno non è di questo mondo”, sono due celebri sentenze evangeliche a cui si ispira questa separazione della teologia dalla politica. Borghesi evidenzia la portata di questa innovazione spiegando che il Cristianesimo è l’unica religione che prevede questa separazione della fede dalla spada. Quindi libera la fede dalla soggezione o dall’interferenza dei politici di turno.  Come afferma il teologo Stefano Alberto: “C’è, nel Vangelo, una distinzione radicale tra la fede e la spada. E’ una novità che segna uno spartiacque nella convivenza civile. Il cristianesimo non si realizza attraverso la politica. C’è una differenza tra Grazia e Natura”.  Con l’Editto di Milano è sbarrata la strada a qualsiasi “teologia politica”, a qualsiasi pretesa della politica di strumentalizzare la religione, come purtroppo succederà con il cesaropapismo successivo. Si può anche dire che viene introdotta una distinzione tra “sacro e profano” e quindi viene superato il pericolo del fondamentalismo o integralismo.

Nel 380 la politica imperiale cambia notevolmente. Infatti, l’Imperatore Teodosio, con l’Editto di Tessalonica dichiarerà il cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero romano e di lì a poco inizieranno le distruzioni dei templi pagani, le soppressioni delle scuole filosofiche ellenistiche, insomma verrà meno la libertà religiosa. Il grande Agostino, nel De civitate Dei , sosterrà che la Città di Dio e quella dell’uomo sono mescolate insieme e non possono coincidere, confermerà dunque la tradizione dei primi quattro secoli di cristianesimo che difendono la libertà religiosa. Anche se nel suo epistolario ammetterà l’uso della forza politica imperiale contro gli eretici donatisti. L’Agostino del De civitate Dei afferma chiaramente che la piena realizzazione del Regno di Dio non può avvenire su questa terra, ma solo alla fine della storia. La tensione tra il “già e non ancora” resta perennemente attuale: la Chiesa è già un principio di regno di Dio in mezzo a noi, ma non ne è ancora la piena realizzazione, non può pretendere che la politica imponga la fede cristiana.

Purtroppo, nei lunghi secoli che precedono la modernità, si è spesso affermata come vincente la pretesa di egemonia totalizzante da parte della politica che voleva imporre la “religione di Stato”. Si pensi ai due secoli di guerre di religione che hanno travagliato l’Europa dal Cinquecento al Settecento. Con l’Atto di Supremazia di Enrico VIII (1534), il re d’Inghilterra si autoproclamava capo della Chiesa anglicana, con la pace di Augusta (1555) e la pace di  Westfalia (1648), in Germania si proclamava per i sudditi l’obbligo di professare la religione del principe regionale, con la revoca dell’Editto di Nantes (1685) gli ugonotti venivano cacciati dal regno di Francia. Sono tutti momenti significativi di questa drammatica negazione della libertà religiosa da parte della politica. Ed è da queste guerre di religione che si scatena la violenza illuminista e rivoluzionaria contro l’intolleranza e il fanatismo religioso. La dissociazione della modernità dalla politica intollerante del cesaropapismo affonda le sue radici in questa pretesa di imporre la fede con la spada. Si pensi ad esempio alla strage della notte di San Bartolomeo, in Francia, episodio emblematico di queste guerre di religione.

Abbiamo dovuto attendere il Concilio Vaticano II, conclude Borghesi, con il suo documento Dignitatis Humanae, per riconoscere il messaggio originario del cristianesimo, che rifiuta l’imposizione della fede. Il bene, come venne sostenuto dai Padri conciliari, non può essere imposto, e quindi la religione non può essere imposta da una legge civile. La religione deve essere scelta liberamente, per amore. Altrimenti si scivola nell’integrismo, nella teologia politica, cioè nella pretesa di costruire uno Stato cristiano che vorrebbe anticipare la piena realizzazione del Regno di Dio in terra. Invece, dobbiamo accettare l’imperfezione dell’uomo, per cui lo Stato non è il Regno di Dio, ma il luogo della convivenza civile tra persone che hanno fedi religiose o laiche diverse, ma che si possono accordare su progetti politici di promozione umana. E’ la lezione di J. Maritain, ci ricorda Borghesi, che sosteneva questa autonomia della politica, fatta propria dal Concilio.  Naturalmente non si tratta di un’autonomia assoluta, altrimenti si aprirebbe la strada ai totalitarismi di sinistra memoria. La politica rimarrà sempre vincolata dalla legge morale, dall’etica dei diritti umani, da quell’etica che ha uno dei suoi pilastri proprio nella libertà religiosa riconosciuta dall’Editto di Milano.


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