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Così, di fronte alle palesi ingiustizie viene spontaneo fare affermazioni di principio e anche se noi italiani in Madagascar non imbracceremo mai il mitra per fare la rivoluzione (ne avremmo la necessità prima a casa nostra, senza andare ad esportarla come tanti piccoli Che Guevara), almeno che ci sia lasciata la possibilità di esplicitare il nostro malumore, senza sputare veleno indiscriminatamente verso tutti i malgasci, ma solo verso chi lo merita in maniera palese. Diciamoci la verità: tutti gli stranieri parlano male dei malgasci, tranne quella ragazza canadese che ho incontrato sul treno nella tratta Fianarantsoa-Manakara e che, con sguardo angelico e con gli occhi che le luccicavano, mi disse perentoria e serafica: “I malgasci sono un popolo meraviglioso!”. Al che avrei voluto domandarle cosa si fosse fumata, ma non lo feci. Stetti a guardarla per alcuni secondi in silenzio come si guarda, rispettosamente, un’opera d’arte e pensai che probabilmente viveva la sua esperienza di volontaria con i bambini in un ambiente protetto in cui tutti le volevano bene e la rispettavano senza cercare di imbrogliarla sui prezzi. In alcuni ambienti missionari certe situazioni possono verificarsi, ma il giorno in cui dovesse essere violentata – Dio non voglia! – forse cambierà idea. Per la verità... in Madagascar è più facile che venga rapinata piuttosto che violentata, a differenza di ciò che succede a Roma, dove le turiste vengono stuprate in pieno giorno. Cosa dovrebbe dire una ragazza straniera che subisce una violenza sessuale mentre e’ in visita nelle nostre città d’arte? Che tutti gli italiani sono stupratori? E se la violenza è commessa da stranieri, residenti legalmente o clandestini, ci sentiamo forse meno coinvolti? Ci sentiamo assolti? In realtà, il male, da chiunque commesso, turba gli animi degli astanti, come già disse il Manzoni. Di tutti i giudizi negativi pronunciati da italiani nei confronti dei malgasci, il record della spietatezza spetta a questo: “I malgasci hanno preso il peggio degli africani e il peggio degli indonesiani”, frase che fa riferimento alla loro origine estremo orientale, zona Borneo e Sumatra. Tuttavia, se noi italiani non risparmiamo le critiche nei confronti dei malgasci, i francesi, loro ex padroni, fanno ancora di peggio e per mostrare quanto categorici e inappellabili siano i loro giudizi mi basta citare una barzelletta di fonte transalpina. Un missionario cattolico, un sant’uomo che aveva dedicato tutta la vita a fare del bene alle popolazioni del Madagascar, muore, si presenta al cospetto del Padreterno che gli dice: - Grazie alla tua lodevole condotta, hai diritto a chiedermi un favore. Chiedi, dunque, figlio mio. Il missionario chiede a Dio: - In verità, vorrei chiederti due favori, Altissimo. Per prima cosa, vorrei che Tu costruissi l’autostrada Marsiglia-Tananarive. - Aspetta, aspetta, non puoi pretendere che stravolga la geografia di interi continenti. Ciò che mi chiedi è veramente troppo, ma dimmi, quale sarebbe la tua seconda richiesta? Vediamo se almeno in questa posso soddisfarti. - Ecco, vorrei tanto che Tu facessi diventare i malgasci buoni e intelligenti. - Senti – gli rispose sbrigativamente Dio, spazientito - facciamo così: dammi un paio di giorni e ti faccio l’autostrada, d’accordo?
Qual è il limite oltre il quale le critiche cessano di essere costruttive e diventano distruttive? Qual e’ il limite entro il quale possono essere pronunciate a fin di bene e a scopo d’insegnamento, senza diventare velenosa maldicenza? Insomma, alla fin fine, esistono le critiche costruttive? E hanno giocato un qualche ruolo benefico nella storia dell’umanità, nel far avanzare il progresso e la crescita morale della gente? Credo che se interrogassi ciascun italiano facendogli queste precise domande, ciascuno mi darebbe delle risposte diverse, indi per cui dovrò tenermi i miei dubbi e accettare che il redattore del sito AIM mi ponga dei paletti, dei limiti alle mie esternazioni. Non è il massimo in fatto di libertà di pensiero, ma è un buon criterio comunque. Quindi, sul sito AIM non potrò dire che i conducenti di risciò, localmente chiamato pousse pousse, devono fare una fatica boia non solo a trascinare il loro mezzo per pochi soldi, con a bordo persone, cose e animali, ma lo devono fare su strade sconnesse, piene d’immondizia e di buche che si riempiono d’acqua dopo le piogge e con brandelli di asfalto risalenti alla dominazione francese e che quasi quasi converrebbe raschiare via dalla sede stradale. E devono farlo spesso scalzi, beccandosi negli orecchi il clacson di grossi fuoristrada guidati da funzionari governativi che girano con la macchina vuota e con l’effige di qualche organizzazione umanitaria sulla fiancata pigliandosi, in un certo senso, oltre al danno la beffa. Uno schiaffo morale a persone che faticano per guadagnarsi il pane da parte di funzionari a bordo di costosi 4 x 4, comprati con i soldi dei nostri aiuti umanitari. Va bene l’autocensura, va bene il rispetto che si deve al padrone di casa, ma a volte certe ingiustizie gridano vendetta al cospetto di Dio. Tacere sarebbe complicità. Nei giorni scorsi ero in una città del sud del Madagascar. I conducenti di pousse pousse erano scesi in sciopero perché il municipio voleva costringerli a pagare una tassa (noi diremmo una ‘una tantum’) di 40.000 ariary, pari a circa 15 euro. Non so se alla fine l’hanno pagata, ma se gli pavimentassero le strade allora avrebbe senso, come avrebbe senso farla pagare anche ai tassisti o ai ciclisti, ma fintanto che il Comune non fa nulla per migliorare la viabilità, lasciando che le pozzanghere ristagnino per giorni dopo un semplice acquazzone, la pretesa di far pagare le tasse diventa semplicemente iniqua e si configura solo come una specie di sciacallaggio da parte degli enti governativi. Più o meno quello che succede anche da noi, con la differenza che le nostre strade sono ben drenate e non dobbiamo camminare con i piedi in ammollo: a noi buttano addosso direttamente le piogge chimiche torrenziali e le alluvioni, senza che neanche scioperiamo per questo e pagando le tasse zitti zitti. Il giorno del mio matrimonio, il 4 febbraio, sulla scrivania del sindaco di Tulear c’era un cestino di vimini per la raccolta delle offerte. Mia moglie mi disse che il denaro raccolto era per i poveri. Ma chi vogliono prendere in giro? Voi come avreste reagito, se non con stizzito scetticismo? Dissi alla mia neomoglie: “Guarda che il sindaco e le sue segretarie vanno a farsi la pizza, alla faccia dei poveri!”. Non capì e non mi credette, come non mi crede tutte le volte che le faccio notare qualcosa di storto e di ingiusto, qualcosa che ai miei occhi è storto e ingiusto mentre ai suoi è solo naturale e sacrosanto. Io mi chiedo come fanno i malgasci ad essere così ingenui. Ed è forse esattamente quello che si chiedono i tedeschi con noi: come facciamo noi italiani a essere così ingenui e votare Berlusconi? [Consoliamoci pensando che anche i tedeschi, da qualche parte, hanno qualcuno che si chiede: ma come faranno questi crucchi ingenui a votare la Merkel?, nota di TNEPD]
Prendiamo, per fare un altro esempio di idiosincrasia fra le nostre rispettive mentalità, l’amministrazione della giustizia. Quando spiego a mia moglie che legare le mani dietro la schiena agli arrestati, farli inginocchiare e sparargli un colpo di pistola alla nuca non è una cosa carina, lei mi dice che invece la polizia fa bene ad agire così perché i malaso, i ladri di bestiame, devono smetterla di rubare gli omby, gli zebù, ai poveri contadini. E insiste che se non lo facesse la polizia, lo farebbero i contadini stessi esasperati dai furti di bestiame. Talvolta, in effetti, si sentono notizie di linciaggi di giovani ladri da parte di folle inferocite, solo che in quei casi si tratta di furti di poco conto, come quella lampada a petrolio rubata da un ragazzo a un conducente di pousse pousse. Era proprio il caso di ammazzarlo di botte per una lampada? Anni fa, in Etiopia, le autorità tagliarono una mano e un piede a un ragazzo che aveva rubato un foulard: la legge coranica applicata a regola d’arte. Quando poi spiego a mia moglie che i poliziotti, dopo l’esecuzione sommaria degli arrestati, danno fuoco ai corpi per cancellare le tracce - caso mai dovesse arrivare qualche rompicoglioni di vazaha a fare delle indagini - lei mi guarda come se l’ingenuo fossi io. Lei non sa nulla della Convenzione di Ginevra, dell’ONU e delle altre agenzie umanitarie, e non vuole sapere nulla: sono tutte stronzate dei bianchi [Non ha tutti i torti, nota di TNEPD]. Qui si tratta di ladri di zebù, base dell’economia familiare malgascia, mica di fanfaluche. L’anno scorso me ne stavo tranquillamente in camera a leggere, quando entra mia moglie tutta eccitata e mi dice: - Dai, prendi l’apparecchio fotografico e vieni che andiamo a vedere il malaso morto! - Cosa, cosa? Aspetta, stai dicendo che posso fotografare un cadavere? - Certo, dovrai dare una mancia al comandante della polizia, ma farai le foto che piacciono a te! Hanno messo il ladro morto su un tavolo, in ufficio, e tutta la gente va a vederlo. E’ tutto tagliato. Mia moglie mi prese alla sprovvista e non me la sentii di seguirla: nel mio schema mentale non è prevista la visita a un uomo assassinato, benché ladro, ricoperto di ferite. Quando volli assistere alla sterilizzazione di una mia cagnetta, il veterinario, dopo aver affondato il bisturi nel pancino della cagnolina, mi disse guardandomi in volto: “La vedo un po’ pallido. Forse è meglio se esce a prendersi una boccata d’aria!”. Per la cronaca, il corpo del malvivente era pieno di tagli, inferti dalla folla inferocita con i coltelli, prima che arrivassero i poliziotti a finirlo. In un’altra occasione ne catturarono uno vivo, uno che aveva dei precedenti di una certa gravità: aveva ucciso un poliziotto. I gendarmi, mentre era seduto a terra legato come un salame, pieno di lividi, gli dissero: “Preparati. Di’ le tue preghiere, ché nel pomeriggio ti portiamo a fare un giro nella brousse (boscaglia)”. Ma vi rendete conto?! La polizia, agenti di pubblica sicurezza pagati con denaro del contribuente, come i peggiori mafiosi, come neanche nei film di Coppola se ne vedono! E queste cose, sul sito dell’AIM, non credo che potrei dirle, ma su TNEPD sì, per fortuna. Pochi giorni prima del matrimonio, la mia donna fu aggredita da un ladro che le diede un calcio ad una gamba e le morse un braccio per farle cadere il portamonete che teneva in mano. All’interno, 30.000 ariary e un anello d’oro. Lei riconobbe il malvivente: era un ragazzo della famiglia di suo padre, un lontano parente insomma. Siccome i gendarmi avevano la macchina rotta, mia moglie dovette per ben due volte pagare il taxi, farci salire due agenti e mostrare loro dove abitava il ragazzo. Al secondo giro i gendarmi scesero di corsa e catturarono il ragazzo, che non aveva avuto il tempo di scappare. Il ladro, com’è consuetudine da quelle parti, la prima notte dormì con le sole mutande addosso, direttamente sul pavimento degli uffici della polizia, poi fu condotto in carcere. I giorni seguenti mia moglie andò a farsi rilasciare un certificato medico per completare la denuncia contro il suo aggressore: i lividi sul braccio e sulla gamba si vedevano bene. Dopo di che mi disse: “Ho appuntamento con i genitori del ladro. Vengono a casa mia a discutere, a chiedermi di ritirare la denuncia”. Io, pensando che fosse per lo meno strano che i parenti dell’aggressore andassero a far visita a casa della vittima, le risposi: “Beh, se ti restituiscono il maltolto, forse se ne può parlare”. Poi seppi che all’appuntamento non si erano presentati, ma erano andati a parlare direttamente con suo padre affinché intercedesse a favore del loro congiunto che era appunto parente del padre di mia moglie. Una situazione a dir poco pirandelliana. Chiesi alla mia compagna, dopo qualche giorno: “E il portamonete?” “No, quello se lo tengono, perché hanno saputo che sono la moglie di un vazaha e loro sono poveri”. “Andiamo bene! Già che c’erano potevano ucciderti, o violentarti, ché tanto sei la moglie di un vazaha! E meno male che era un tuo lontano cugino! Pensa se fosse stato un estraneo!” Quando cammino per le strade di Tulear, scacciando mosche e mendicanti e beccandomi da parte di centinaia di conducenti di pousse pousse il reiterato invito a salire sul loro mezzo di trasporto, vedo galline, anatre e tacchini portati a mazzi per le zampe, caricati sul portapacchi di macchine e taxi brousse o sul manubrio di moto e biciclette. Spesso pigolano e starnazzano di dolore e paura. Anche in questo caso la mia mania di grandezza mi viene in aiuto per sconfiggere la sensazione d’impotenza di fronte a tanta incosciente cattiveria e mi viene da pensare che se fossi presidente della repubblica vieterei di trasportare in tal modo il pollame, come vieterei di frustare gli zebù che trainano le carrette e di tirare sassi ai cani. Vieterei tutte le forme di maltrattamento agli animali, che sono l’anticamera del maltrattamento agli esseri umani, benché molti che si credono esseri umani non se ne rendano conto e mi accusino, in maniera superficiale, di preoccuparmi più delle bestie che degli uomini. Vieterei il maltrattamento, ma il divieto sarebbe applicato? Chi farebbe rispettare le leggi? I poliziotti per caso? Quegli stessi poliziotti che fanno giustizia sommaria degli arrestati? O gli agenti della guardia costiera che, se li chiami quando vedi una tartaruga marina trascinata a riva dai pescatori, arrivano - con molta calma - e si mettono comodi a mangiarla insieme ai pescatori e se tu vazaha non ti levi dai piedi fanno la multa a te? Cotali agenti di polizia giudiziaria dovrebbero far applicare le leggi contro il maltrattamento del pollame? E allora, poiché va bene essere idealisti, ma non essere scemi del tutto, non mi resta che recriminare, masticare veleno e pensare con rassegnazione che tutto il male che i malgasci fanno alle bestie Dio lo fa ai malgasci. E che, se continuano a maltrattare e uccidere le creature di Dio, è giusto che Dio li punisca con la lebbra, la tubercolosi, il colera, l’idrofobia, la malaria e la miseria. E dunque, benché mi renda conto che è un ragionamento un tantino superstizioso, ne consegue che gli aiuti umanitari sono moralmente sbagliati, dato che tutte le miserie e la corruzione e la criminalità e la povertà in cui i malgasci si dibattono, sono volute da Dio. E chi siamo noi per opporci al Suo volere? Niente ospedali, niente dispensari e medicine, niente medici e infermieri. Sia fatta la volontà di Dio. Questi pensieri andavano bene nei secoli bui del nostro medioevo, lo so bene, ma almeno hanno una loro logica, se ha senso il principio dell’occhio per occhio, dente per dente. Tu malgascio frusti uno zebù: nella prossima vita nascerai zebù e qualcuno frusterà te. E intanto, in questa vita, ti becchi la lebbra o la malaria. Non fa una piega, come ragionamento. Peccato che non ci sia nessun Dio, che i malgasci restino cattivi e poco intelligenti (e nessuno li potrà cambiare) e che il sito dell’AIM non mi pubblichi queste considerazioni, mentre quello di TNEPD sì. Chissà! ALF
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