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Il personaggio dell’anno non è Papa Francesco, ma Benedetto

Creato il 09 gennaio 2014 da Davideciaccia @FailCaffe

Dalla parte di Benny.

Ormai dal 1927 il TIME, storico magazine d’oltreoceano, dedica la prima copertina del mese di dicembre alla “Persona dell’anno”: da Lindbergh ai ribelli ungheresi, passando per Hitler e Khomeini.

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Il 2013 ha visto prevalere, per la terza volta (dopo Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II), il capo della cristianità, Papa Francesco: Jorge Bergoglio, a partire dalla scelta del nome, quello del santo di Assisi e patrono dei poveri, ha dato il via ad un papato di cambiamento, testimoniato da una maggiore apertura circa aborto, omosessualità, da un’attenzione non poco rilevante ai meccanismi opachi dello IOR, dall’immagine della chiesa “ospedale da campo”, in mezzo alla gente, e per la gente. Francesco viene dalla fine del mondo, dai quartieri umili di Buenos Aires, viene dalla strada, a differenza del suo predecessore, e si vede.

Eppure, se dovessi assegnare il mio personale premio “Personaggio dell’anno”, non potrebbe che andare a lui, il predecessore: Benedetto XVI.

Oggetto di una silente damnatio memoriae, dimenticato con fretta dolosa dai media e, di conseguenza, da tutti, è personalità complessa e interessante, la cui levatura, testimoniata dal suo ultimo atto, merita ben altra attenzione.

È lui il personaggio dell’anno, e lo è proprio per le sue dimissioni: in un’epoca in cui tutti fuggono dalle proprie responsabilità, in cui c’è sempre una giustificazione per quanto fatto, o peggio, non fatto, Joseph Ratzinger ha spiazzato tutti, con un atto umile e, insieme, potente.

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Umile perché riconosce la propria fragilità, potente perché assume su di sé, su un uomo provato dall’età e dal ruolo occupato, colpe proprie, e, soprattutto, di altri, in nome del bene superiore, nel caso di specie della Chiesa, per conservarne missione e forza del messaggio.

Benedetto XVI è il papa tradizionalista, che stravolge la tradizione pur di conservarla. È rivoluzionario prima di Francesco e più di Francesco: nel suo disegno, non il potere, ma la rinuncia al potere, è ciò che serve per governare. Riconoscere la propria adeguatezza o inadeguatezza di fronte agli oneri e ai risultati, anche cedendo il passo se c’è chi può assolvere meglio al compito, è il suo grande insegnamento, che travalica i confini della religione e abbraccia tutti gli uomini. Vale per il Papa, e per chiunque assolva a ruoli di responsabilità, sia il Presidente della Repubblica, o della locale bocciofila.

“Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma”.


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