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Il playmaker tra passato e presente

Creato il 09 settembre 2012 da Basketcaffe @basketcaffe

Ci siamo ormai tutti abituati a vedere play che siglano in media 22-23 punti di media in NBA, fingendosi più guardie che registi puri e nettamente differenti da un giocatore, ad esempio, come Steve Nash, che nel suo gioco privilegia le assistenze. Parliamo dei vari Rose, Westbrook, e molti altri giocatori che, più che abituati a far girare la squadra, sono abituati a forzare molti tiri, e nella stra-grande maggioranza dei casi, non distribuiscono mai troppi assist. C’è anche qualche eccezione, rappresentata ad esempio da Deron Williams e Chris Paul, giocatori in grado di offrire sia più di 10 assist a partita di media, sia una ventina di punti. E non è un caso se proprio i due play scelti al Draft del 2005 siano stati convocati per le Olimpiadi.

Il ruolo del playmaker si sta evolvendo, a favore di una sorta di falso play, con meno visione di gioco ed una minore capacità di gestire il ritmo della gara, e decisamente diverso rispetto a quanto si è visto in passato. Sembra esserci una differenza abissale tra la generazione dei Fisher e dei Nash, e quella degli Westbrook, dei Rose, dei Lawson, e della grande maggioranza dei play in circolazione.

Statistiche alla mano, ce ne accorgiamo subito: confrontiamo ad esempio i dati di Steve Nash, play puro, e di Russel Westbrook, uno di quelli che definiamo “falsi play”, l’ultima stagione: pur essendoci più di 10 anni di differenza tra i due, il rendimento del nuovo giocatore dei Lakers non è variato più di tanto neanche in età avanzata, e quindi il confronto può essere adatto. Nash la scorsa stagione ha viaggiato a 12.5 punti di media, tirando con un ottimo 53% dal campo, conditi da 10.7 assist per gara; il play di Okc si è tenuto invece a 23.6 punti di media tirando con un 45% dal campo e distribuendo 5.4 assist per gara; le palle perse di entrambi si assestano a 3.7 per gara.
Da queste statistiche si può dedurre che Westbrook è abituato a prendere più tiri di Nash, a realizzare di più ma allo stesso tempo a forzare di più; il canadese invece, tira meno (complici anche i meno minuti giocati), ma date le alte percentuali si intuisce che sia abituato a prendere perlopiù tiri in ritmo. Per quanto riguarda i turnovers, pur essendo entrambi alla stessa cifra, c’è da dire che l’ex Suns all’età di Westbrook era abituato a perdere solamente due palle a partita, e che a quasi 39 anni queste cifre ci possono stare; non per Westbrook però, abituato a tenere troppo la palla e a gestirla non sempre in modo adeguato.

Infatti malgrado essendo Russel Westbrook un ottimo giocatore, è in sostanza una guardia pura: alta 1.90 m, con un grande atletismo, una visione di gioco e capacità di passatore più da shooting guard ed un atletismo non esattamente da playmaker. Senza contare, tra l’altro, le forzature che questi (a)tipi(ci) di giocatori collezionano, e che non giovano certo alla squadra; ai Thunder è capitato spesso di farne le spese. Basti pensare che nelle Finals tra Miami e Oklahoma City, Westbrook, pur offrendo un contributo realizzativo minore di Durant (27 punti contro gli oltre 30 di KD), ha preso molti più tiri ma con percentuali decisamente peggiori (43% al tiro nelle Finali per il play di Okc contro il grande 54% dell’ala).

Ai Thunder magari potrebbero essere più utili qualche passaggio vincente in più rispetto ad un contributo realizzativo quasi eccessivo per quel ruolo. D’altra parte, i Lakers cercavano da anni un play puro in grado di far girare la squadra, ed hanno puntato proprio sul sopracitato Steve Nash, tra i migliori assist-man di sempre, grande tiratore pur senza strafare, e proprio ciò di cui Kobe e compagni avevano bisogno, in modo ancora maggiore del decisamente più acclamato Dwight Howard.

Tony Parker rappresenta forse la linea di divisione tra due stili di gioco differenti, ed ancora in evoluzione: il francese era il vero prototipo delle point guard moderne, più penetratore e meno passatore, cosa che adesso si è accentuata in quasi tutti i cestisti in quel ruolo. Adesso un’altra “via di mezzo” può essere senz’altro rappresentata da Deron Williams, non esattamente un play puro ma comunque grande passatore ed in grado di far girare la squadra.
Se si cerca su un dizionario inglese la parola “playmaker” troveremo come definizione (tradotta) “giocatore che ha il ruolo di offrire opportunità di segnare ai suoi compagni di squadra”. Quindi ormai di veri e propri play, se ne trovano ben pochi, e non è probabilmente un avvenimento positivo. Magari tra una ventina di anni dello stile di gioco di Hall Of Famer come John Stockton, Isiah Thomas, ma anche di giocatori come Steve Nash e Jason Kidd ricorderemo poco o nulla, abituati a vedere due guardie sul parquet.
E’ sufficiente ragionarci solamente un attimo per accogerci della situazione: che play puri troviamo in NBA? Lo stesso Steve Nash, Rajon Rondo, Chris Paul, Ricky Rubio, Jose Calderon, in parte Deron Williams (abituato anche a tirare molto, ma ci può stare essendo ai Nets la prima scelta offensiva) e Tony Parker… ma chi altro? Anche tra i più giovani questa tendenza al play-guardia è sempre più presente: Brandon Knight, Kemba Walker, e tra i futuri rookie, ad esempio, Damian Lillard.

Un giocatore che, pur non essendo la prima scelta offensiva di una squadra, è un eccellente passatore, è una sicurezza per la squadra con la palla tra le mani e nella gestione delle azioni. I playmaker puri, almeno negli USA, stanno diventando merce rara, ecco perchè le franchigie farebbero bene a pensarci due volte prima di imbastire trade che li coinvolgano.


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