Oggi, in pausa pranzo, sono finalmente riuscita ad trovare il tempo per scroccare il caffè a Franco o, meglio, a sua moglie. Non ho trovato solo il caffè, l’ottima conversazione e l’entusiasmo della scoperta del mondo negli occhi della sua nipotina ma anche un racconto. E, siccome io sono in pausa creativa forzata, ne approfitto subito per postarlo.
Il racconto trae ispirazione da un suo quadro: leggetelo e costruitevi un’immagine mentale perché le parole creano il mondo e il mondo lo si può raccontare attraverso un dipinto. Ricordate che non si sa se viene prima il quadro o il titolo, che quella non era una pipa e che la fantasia è una delle nostre armi più forti. Nel prossimo post ci sarà un’immagine del quadro ma i percorsi dell’immaginazione possono giocare scherzi curiosi. Buona serata e buona lettura.
Piccola premessa:
Quando ho pensato alla realizzazione del quadro ( “la ragazza che sapeva come annaffiare le piante” gennaio 2012), l’ho immaginato come racconto, come se avessi voglia di raccontare una storia, più che desiderare di dipingerla. A questo punto pensai di fare entrambe le cose e l’embrione si divise, creando così due entità. Il primo nacque dopo pochi giorni, l’altro invece con una gestazione più lunga vide la luce in marzo. I due fratelli vivono di vita propria ma sono molto più gradevoli (secondo me) quando si completano stando insieme.
IL RESPIRO DELLE BALENE
“Buon tempo” pensò quel mattino quando si svegliò.
Il sole attraversava le persiane della camera con nette lame di luce che andavano a posarsi sulle lenzuola del letto, rendendo visibili i granelli di polvere in sospensione, mossi in piccoli vortici dalla brezza che saliva dal mare. La ragazza non aprì gli occhi; le bastò un respiro solo un po’ più profondo per capire che il giorno tanto atteso era arrivato, e le sue labbra si dischiusero in un ampio sorriso. Solo dopo una decina di minuti decise di lasciare il tepore del letto, senza fretta.
Giù nella baia, in paese, per tutti era solo una delle tante belle giornate d’estate: vecchi e giovani pescatori riparavano reti che la notte prima avevano dato il loro sempre più magro bottino; fuori da un negozio alcune donne discutevano animatamente in una lingua incomprensibile ai pochi turisti che frequentavano il posto; tutto era apparentemente come sempre, compresi gatti e gabbiani immobili sotto il sole a farsi pettinare dal vento.
Nessuno era in grado di cogliere cosa c’era di diverso rispetto al giorno precedente, nessuno sapeva “leggere” il profumo nuovo che c’era nell’aria.
Emma invece sì, e forse era l’unica al mondo a saperlo fare. Sicuramente non sarebbe stata capace di spiegare come faceva: accadeva e basta. Una volta provò a spiegarlo a se stessa ma la cosa la lasciò ancora più senza una risposta vera. Il profumo che sentiva non era simile a nessun altro profumo che lei poteva aver memorizzato, era invece più simile ad una musica. ”Mambo” – si rispose, per non domandarselo più.
La giornata trascorse come sempre tranquilla e lenta. Emma fece le stesse cose che faceva tutti gli altri giorni, si concesse forse un po’ più di tempo da dedicare alla lettura, in poltrona, sulla veranda esposta a ponente direttamente sulla scogliera, in viso al mare, ed ogni tanto distogliendo lo sguardo dal libro, annusava sorridendo quella musica. Posò il libro sul tavolino di vimini intrecciato quando capì che era giunta l’ora. Si tolse le scarpe, le calze e a piedi nudi si incamminò lungo il sentiero che dalla veranda saliva tortuoso fiancheggiando i muri a secco dell’uliveto intervallato da piante di limone ed arancio lungo il crinale della costa, fino a portarla di lì a poco alla sommità della scogliera, sotto lo sguardo disinteressato delle lucertole occupate a seguire il volo degli insetti.
Arrivata in cima c’era una grande pietra ad aspettarla. ” Il masso del ramarro”, così l’aveva chiamato quando ancora bambina era arrivata fin lassù in compagnia di suo padre. Accarezzò la grande roccia liscia, color dell’avorio, prima di sedersi. Una leggera foschia scese a velare il sole ormai basso sull’orizzonte pronto a tuffarsi in mare mentre candide piume di cirri iniziavano ad arrossarsi per incorniciare l’avvenimento. Non avrebbe dovuto aspettare molto: lo capì quando il vento cessò e si sentì piacevolmente stordire dall’ intenso profumo della musica.
E le balene puntuali apparvero all’orizzonte iniziando a danzare nel disco solare al ritmo di quella musica: con grandi salti piroettavano fuori dall’acqua, per poi tuffarsi nel riverbero trafiggendolo leggere, sembravano volare. Ne vide prima due, poi quattro, alla fine ne contò dieci: non ne aveva mai viste così tante, continuarono a ballare solo per lei (di questo ne era certa).
Quando poi non restarono che le nuvole infuocate, così come erano arrivate, le balene se ne andarono, lasciando lacrime ad imperlare il volto di Emma seduta immobile in riva al cielo.
Il vento ricominciò a soffiare portando verso la scogliera un’ aria fresca e umida, – Il respiro delle balene - lo chiamava lei. Quell’aria spinta dal mare contro gli anfratti e le pietre della riva in breve si condensò in piccole nuvole che, cardate dagli speroni rocciosi, si gonfiarono salendo verso l’alto lungo il crinale. Solo quando davanti a sé vide passare le prime, come enormi fiocchi di neve che salivano disperdendosi in cielo, si alzò in piedi ad aspettare, e fu una tra le più piccole che decise di farsi avanti andandole incontro. Allora Emma prese da una tasca un sottile filo di lana e delicatamente, con calma, la legò. Tornando con lei verso casa, lungo il sentiero, si fermò a raccogliere delle arance ed il forte profumo degli agrumi per un attimo coprì quello della musica che ancora sentiva.
Arrivata sulla veranda, appoggiò un’arancia sul davanzale e legò il filo che teneva la nuvola alla spalliera di una sedia, così come avrebbe fatto un bambino con il proprio palloncino di ritorno dalla festa del patrono, e restò lì immobile in piedi ad aspettare che il crepuscolo diventasse notte.
Franco