Tra i tanti effetti collaterali della recessione, stando alle notizie di questo inizio di stagione (ma poi è davvero cominciata? Non si direbbe), c’è il ritorno dei proprietari degli alberghi alla gestione diretta, dopo che per anni la stessa era stata delegata agli affittuari. Ora che i margini di guadagno si sono ristretti o, in qualche caso, addirittura scomparsi – l’affitto di uno hotel per 4-5 mesi di lavoro (quando va bene, essendo la stagione ormai concentrata prevalentemente in 3 mesi) – non è più un buon affare. Anzi, è una condanna. Perciò molti affittuari, dopo aver fatto i loro conti, si sono arresi e hanno detto basta. Qualcuno è riuscito a strappare condizioni migliori, qualcun altro ha optato per strutture con maggiori potenzialità ma tanti hanno abbandonato la nave.
Se così stanno le cose, restano poche alternative. Sono rari gli alberghi che avrebbero ancora la possibilità di cambiare destinazione e trasformarsi in condominio di appartamenti. Chi lo poteva fare l’ha già fatto. Chi non l’ha ancora fatto, adesso fatica di più per la stretta sul credito bancario, la paralisi del mercato immobiliare e l’affanno delle imprese costruttrici. E soprattutto ci ricaverebbe molto meno rispetto a quanto avrebbe potuto ricavarci qualche anno fa.
Chi non ha nemmeno questa possibilità (per i vincoli del piano regolatore o per non essere a norma con le misure di sicurezza) chiude l’albergo pagandoci comunque le tasse o si rimette in gioco di persona. Però mettersi al timone dopo 20 anni o anche più, non è facile. Non è più lo stesso mare e le rotte di navigazione sono cambiate, così come i pesci che nuotano nelle acque agitate.
La stampa (cito dal servizio de Il Resto del Carlino – Rimini di venerdì 24 maggio) li chiama “vecchi leoni” o “pionieri” perché si tratta della generazione di ultrasettantenni che ha posto le basi del turismo in riviera, quelli che hanno costruito tutto dal niente e che hanno fondato un sistema. che ora però sta collassando sotto i colpi della globalizzazione prima e della crisi poi.
A ben vedere, il modello romagnolo ha tenuto per tre generazioni. Ma forse non è vero neanche questo. Dalla prima generazione si è passati direttamente alla terza perché la seconda ha potuto scegliere di fare altro. Il boom della riviera degli anni ’60 e ’70 ha permesso ai figli di studiare e di accedere alle professioni o di creare aziende proprie in altri settori e si sa che, una volta sistemati i figli, un genitore comincia a fare altre valutazioni sul futuro. Così si è dato in affitto le strutture confortati da un lato, dalla rendita (di tutto rispetto) del canone e dall’altro, dalla fiducia delle banche per il capitale detenuto. Se quasi il 60% degli alberghi è stato dato in affitto significa che dalla “missione” si è passati al business vero e proprio con tanti saluti alla “tradizione”. Personalmente non accetto la scusante che molti avanzano, cioè che gli affittuari avrebbero svalutato gli hotel con una gestione approssimativa e inadeguata, in barba alla migliore tradizione romagnola. Un affittuario deve per prima cosa far tornare i conti, soprattutto quando ha sul groppone un canone spaventoso (“ma è il mercato!” si era soliti giustificarsi….). Pagato il canone (a volte in anticipo), restavano ancora i costi del personale, delle utenze, della promozione, della manutenzione ordinaria, dei fornitori e delle imposte sull’attività. La gestione “adeguata” è quella che accontenta il cliente ma porta anche un guadagno.
I vecchi leoni ormai non hanno più la tempra, l’istinto e soprattutto non riconoscono il territorio di caccia. Rischiano di soccombere davanti alle jene e agli sciacalli (le agenzie e altri mediatori) che un tempo giravano al largo perché il bottino era tutto del re della foresta. L’unica possibilità di salvezza, ed è amaro constatarlo, risiede nei nipoti o pronipoti, cioè le fasce giovani della società che adesso stanno soffrendo di più per la mancanza di lavoro.
Non sarà una rinascita. Nel migliore dei casi ci si salva dal naufragio.
Magazine Diario personale
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