Una delle principali sfide culturali che l’occidente europeo si è ritrovato a dover affrontare, nella sua storia, è indubbiamente quella del dialogo con l’Estremo Oriente. Un dialogo reso difficile dal fatto che le due culture, purtroppo, si muovono su piani nettamente diversi. È dunque impossibile, almeno a prima vista, un incontro. Molto difficile è anche spiegare in poche parole l’origine di questa incomunicabilità. Cosa fare per rendere possibile un incontro, tanto ricercato, e una reciproca comprensione tra queste culture così distanti?
Nel film Kagemusha, un capolavoro ambientato nel Giappone del XVI secolo, il regista Akira Kurosawa, mette sulla bocca di uno dei personaggi del suo film una frase molto eloquente: «Non lo sai che l’interesse comanda la natura umana più di ogni altra forza?» Con una simile affermazione, così perentoria, si è confrontato un grande scrittore giapponese contemporaneo, Shusaku Endo, che nel suo bellissimo romanzo Il Samurai, cerca di descrivere il contraccolpo che, nella stessa epoca storica, ebbe sui missionari cristiani tale posizione culturale. Una posizione che davvero poco spazio sembra concedere a una realtà trascendente sulla quale è ancorata invece la cultura occidentale, mutuata non soltanto dal messaggio evangelico, ma ancor prima dalla filosofia greca.
Padre Velasco, il francescano che è tra i principali personaggi del romanzo Il Samurai, dice: «Dopo dieci anni, mi duole dirlo, la parola del Signore non ha ancora messo radici in Giappone. A mio vedere, i Giapponesi sono dotati di una intelligenza e una vivacità intellettuale per nulla inferiori a quelle dei vari popoli d’Europa. Ma, quando si tratta del nostro Dio, essi chiudono gli occhi e si turano le orecchie. A volte, questo Paese è arrivato a sembrarmi un’isola inaccessibile e maledetta». Come portare avanti una missione religiosa di fronte a una così radicale chiusura? Afferma Velasco: «Per loro la felicità è solo accumulo di beni materiali. Quando una religione promette tutti i vantaggi di questa vita – grandi ricchezze, vittoria in battaglia, guarigione dalle malattie – allora i Giapponesi la accettano, ma sono completamente insensibili a tutto ciò che è soprannaturale ed eterno».
Padre Velasco si interroga su cosa possa aprire la porta del dialogo in modo da scalfire finalmente questa “insensibilità”. Ne Il Samurai saranno le stesse circostanze a lasciare intravedere uno spiraglio. Un galeone spagnolo aveva fatto naufragio sulla costa orientale del Giappone, dominato allora da Tokugawa Ieyasu, uno shogun che all’epoca aveva già formalmente abdicato in favore del figlio ma che di fatto continuava a esercitare i pieni poteri. Ieyasu progettò allora di riparare la nave e varcare così l’oceano. In questa maniera il Giappone avrebbe potuto allacciare rapporti commerciali direttamente con la Nueva España, sottraendosi dalla mediazione esercitata da Manila. In realtà, ci si accorse che l’imbarcazione non poteva essere riparata in alcun modo; nonostante ciò, l’ex-shogun non abbandonò il progetto e si servì degli stessi naufraghi, i marinai spagnoli, e della loro esperienza, per costruire una nave simile al galeone spagnolo. Come ricorda Shusaku Endo, allora «i Giapponesi possedevano soltanto imbarcazioni costruite secondo un brevetto dello shogunato e ricalcate sui modelli delle barche a vela siamesi e cinesi. Non avevano né cantieri navali né la competenza necessaria a costruire galeoni in grado di attraversare gli oceani. E anche se fossero riusciti a mettere in mare navi simili, mai sarebbero stati capaci di manovrarle».
Costruito finalmente il galeone, prima imbarcazione giapponese in grado di affrontare l’oceano, furono nominati quattro inviati con a capo Hasekura Rokuemon – il “samurai” del romanzo di Endo – e ai quali fu aggregato padre Velasco in qualità di interprete. Compito della spedizione era consegnare al viceré della Nueva España una lettera con l’invito a inviare mercantili in Giappone per ottenere maggiori profitti nel commercio tra i due paesi, particolarmente in rame, argento e oro.
Attorno a questa impresa finiscono per concentrarsi i più vari interessi, come è inevitabile in un contesto nel quale vale la regola stigmatizzata nel film Kagemusha «Non lo sai che l’interesse comanda la natura umana più di ogni altra forza?» Gli interessi sono quelli del samurai Hasekura Rokuemon che accarezza l’idea di guadagnare meriti che potrebbero essere utili a ottenere la restituzione delle terre dei propri antenati, espropriate dal suo feudatario. Gli interessi sono, più in generale, quelli commerciali del Giappone. Ma interessi, in questo caso davvero venali, sono anche quelli di padre Velasco il quale pensa di barattare col papa la sua nomina a vescovo. Secondo questo piano, il religioso avrebbe spinto i giapponesi verso la fede cristiana con la promessa di incrementare gli scambi commerciali. «Se io fossi vescovo del Giappone» pensava Velasco, «non irriterei i potenti giapponesi come hanno fatto i gesuiti. Concederei loro i guadagni che desiderano e otterrei in cambio la libertà sufficiente alla diffusione del Vangelo».
Velasco pensa di aver trovato, dunque, il modo di superare il rifiuto da parte dei giapponesi di una visione religiosa della vita. Saranno i vantaggi economici – ritiene – che a essi procurerà l’adesione alla Chiesa a far riconsiderare il rapporto con la religione. Si può immaginare, oltre alle difficoltà di un viaggio in mare aperto, nelle acque tempestose dell’Oceano Pacifico, quanta ambiguità gravi su questa missione, dove il suo successo è messo in relazione alla disponibilità, da parte dei giapponesi, ad accettare o meno il battesimo. Purtroppo l’ambasciata dei dignitari giapponesi si mostrerà già da subito infruttuosa e sembrerà poco probabile ottenere, dagli spagnoli, privilegiati rapporti commerciali.
Dopo la faticosa traversata dell’oceano, giunti nel territorio americano della Nueva España, non trovano però la disponibilità del viceré ad accordare concessioni in un campo ritenuto di stretta competenza del re di Spagna. I giapponesi devono quindi, dopo aver affrontato pericoli di ogni sorta incontrati attraversando questa terra ostile, raggiungere un porto da dove imbarcarsi verso la Spagna, nel tentativo di ottenere udienza dal re. Di fronte a queste disavventure, davvero i giapponesi decidono di chiedere il battesimo che avrebbe, ai loro occhi, procurato almeno il vantaggio di essere trattati con meno estraneità da parte dei cristiani.
Tutto ciò sembra andare nella direzione del piano congegnato da Velasco. Sebbene assai discutibile dal punto di vista teologico questo aspetto appare, a prima vista, un particolare tutto sommato trascurabile. E invece avrà conseguenze pesantissime. Perché proprio mentre gli inviati si trovano in Nueva España e nel momento in cui si convertono, Ieyasu emana un provvedimento con il quale si proibisce la professione della fede cristiana in Giappone e ogni attività missionaria. Quei giapponesi in viaggio verso l’Europa, convertiti per convenienza, non potranno quindi più tornare in patria senza esporsi al rischio di una violenta repressione. Per giunta, una volta giunti a Madrid, dopo aver varcato anche l’Oceano Atlantico – furono probabilmente i primi giapponesi ad attraversarlo – nemmeno il re di Spagna sembra essere bendisposto ad accogliere la loro richiesta. Il re, infatti, sostiene a sua volta che soltanto il Papa a Roma potrebbe prendere una decisione del genere. Il gruppo dei giapponesi deve ancora una volta rimettersi in viaggio, ma questa volta con tanti dubbi circa la positiva conclusione della vicenda. Dubbi che ricevono una triste conferma quando i giapponesi si ritrovano al cospetto del papa, al quale evidentemente sono giunte anche voci circa il perfido piano di padre Velasco e – ahimè – delle persecuzioni anticristiane in atto in Giappone.
La missione del samurai Hasekura Rokuemon e degli altri giapponesi si conclude con un palese insuccesso e, dal momento che hanno accettato il battesimo, non possono nemmeno tornare a casa. Non sono stati accolti in occidente e non possono rimettere piede in patria. Inevitabilmente, la storia si concluderà tragicamente.
Nella sua missione in occidente alla ricerca delle concessioni per aprire il Giappone al commercio con l’oriente, il samurai non aveva trovato un’autorità che potesse accogliere questa richiesta. Sembrava non avesse trovato il re che cercava. In realtà, proprio concludendo questo suo peregrinare, si accorgeva che un re lo aveva incontrato. Un re diverso, con un volto diverso dal volto dei re. Nota Endo che, alla fine del suo viaggio, «spezzando le fascine, il samurai pensava: “Ho varcato due oceani e sono andato fino in Spagna per conoscere un re. Ma non l’ho conosciuto. Ho conosciuto soltanto un uomo inchiodato a una croce”. Il samurai rammentò che nelle nazioni straniere quell’uomo veniva chiamato “Signore”, ma non era mai riuscito a capire perché».
Nella sua fallimentare parabola, il samurai aveva incontrato comunque qualcuno, nel quale imprevedibilmente la sua storia poteva realmente identificarsi. Quell’uomo “inchiodato a una croce”, Cristo, per quanto potesse apparirgli “brutto ed emaciato” era in fondo il vero re nel quale, al termine della sua totale spoliazione, il samurai poteva riconoscersi. Poteva riconoscersi fino al punto che guardando Lui vedeva se stesso. Non aveva trovato un re ma aveva scoperto che il vero re era il suo stesso io al quale quell’uomo “inchiodato a una croce” dava consistenza. Come nel “sosia” del film di Akira Kurosawa, Kagemusha, nel Samurai, questo capolavoro della letteratura giapponese di Shusaku Endo, il povero Hasekura Rokuemon aveva spogliato se stesso per portare a compimento una missione per conto dello shogun, per conto del potere. «Non è facile», sentiamo dire nel film di Kurosawa, «annullare se stessi, sopprimere il proprio io per assumere quello di un altro».
Tornando dalla sua strada che lo aveva condotto fino alla lontana Europa, nella vana ricerca di nuove vie commerciali e di estendere l’influenza del suo signore fino agli estremi confini della Terra, dunque, lo sfortunato samurai aveva finalmente ritrovato se stesso in quel “Signore” senza potere, nudo su una croce. Per tutto il viaggio, il samurai aveva cercato invano di rimuovere quel muro di estraneità che separava l’Oriente dall’Europa, che rendeva impenetrabili due culture tanto diverse. Ma davanti alla nudità del Crocifisso si accorgeva che nulla poteva esservi di più familiare e nessuno poteva essergli più vicino, più amico di quell’uomo che chiamavano “Signore”, anche se non era mai riuscito a capire perché.