Ne ho già parlato, ma ci ritorno sopra perché vedo che in giro ci sono interessanti contributi su questo argomento.
In passato ho pubblicato tre racconti su Amazon USA, quando lo store italiano non era stato ancora aperto. Per quale motivo? Ero curioso. Sapevo di non avere scritto dei capolavori. Era consapevole anche che spedirli a una casa editrice significava infilarsi in un vicolo che non mi avrebbe condotto da nessuna parte.
Avevo smesso di leggere e di scrivere per circa cinque anni: tanto non c’era niente da fare. Non avevo abbastanza talento. Poi ho ripreso a scrivere e mi sono imbattuto in una casa editrice, che però voleva da me dei soldi.
Ora: io sono ligure. È più facile che un dirigibile passi attraverso una porta USB di un iMac G3, che scucire del denaro a un ligure.
Quindi ho declinato l’offerta.
Mi sono chiesto allora (era il 2009) dove fosse andata a finire l’editoria, se si arrivava a tanto…
Per questo mi sono avvicinato ad Amazon. Desideravo capire se per caso avevo qualche possibilità; io non sono un genio, e neppure mi posso vantare di essere un genio incompreso.
No, non desideravo fare i soldi a palate (se non erro, adesso ci sono circa 800.000 ebook su Amazon: abbandonate i sogni di gloria, orsù).
Volevo vedere se qualcuno avrebbe apprezzato le mie storie.
Mi sono studiato la faccenda e alla fine i tre racconti sono stati pubblicati. Anche se allora l’interfaccia e la guida erano in inglese, non era nulla di difficile, sul serio. Avrei potuto (dovuto?) spingerli di più, ma ero perplesso sulla qualità di quei racconti.
Mi consolava l’opportunità che Amazon offre all’acquirente, di vedersi rimborsato l’acquisto del libro elettronico, se si è insoddisfatti della qualità dello scritto.
Dopo circa un anno e mezzo dalla pubblicazione, mi è stato recapitato un assegno di 100 dollari più qualche centesimo, che non ho mai riscosso. Se andassi dal mio commercialista e gli spiegassi che ho incassato quel denaro, sul suo volto si disegnerebbe lo sconforto. Da quello che ho capito, l’incasso di denaro proveniente da soggetti extracomunitari richiede una procedura presso l’Agenzia delle Dogane, o roba del genere.
In pratica è come se avessi ordinato una cassa di ricambi dagli Stati Uniti.
Adesso quei racconti non sono più online perché mi paiono troppo distanti da quello che desidero. Non li rinnego, però preferisco così.
La mia esperienza di self-publishing è positiva. Non sono diventato ricco, non era il mio obiettivo.
Ho pubblicato, molti sconosciuti hanno acquistato e non hanno chiesto il rimborso, e questo probabilmente vuol dire che le mie storie non erano un pianto greco.
Nel frattempo ho notato questo (ma forse sbaglio, non so). L’auto-pubblicazione agisce in maniera bizzarra sul singolo che abbia qualche neurone funzionante nel cervello (ma sono poche le persone che possiedono una tale fortuna. Se sei parte della minoranza, gioisci, forse hai pure del talento). Spinge l’autore a migliorarsi.
A leggere, a leggere in un certo modo. A modificare il proprio modo di scrivere, di rileggere e ri-scrivere. Invece dell’attesa di una risposta da parte dell’editore, che di solito non ci sarà mai, scorgere che qualcuno compra il tuo libro elettronico induce non a sfregarsi le mani, ma a migliorarsi.
Non perché in questa maniera la prossima opera venderà migliaia di copie al dì. Ma perché si sente una specie di dovere nei confronti di chi ha acquistato. In fondo, una storia è una promessa: si spera che, ci si augura di riuscire a colpire il lettore.
L’acquisto di copie da parte di perfetti sconosciuti, è uno stimolo eccezionale a migliorarsi. È come quando per caso si viene introdotti in un nuovo ambiente, del tutto distante dal nostro mondo. Ci sentiamo spinti a non sfigurare. Sentiamo (o dovremmo sentire), una sorta di obbligo morale verso costoro, chiunque siano.
Ci si sente spinti ad affermare: “Il prossimo sarà migliore, promesso”. E a lavorare duro per non deluderli.
Le tossine che ammazzano (forse) il self-publishing, oppure lo ostacolano, sono le stesse che hanno ridotto in fin di vita tanta editoria. Rispondono al nome di superficialità, incompetenza, arroganza, scarsa o nulla capacità di discernimento (È così bello e comodo generalizzare, vero?).
L’autore che sceglie il self-publishing dialoga. Condivide. È una faccenda rischiosa, perché esiste sempre qualcuno che critica e attacca. Ma le persone intelligenti esistono eccome, e quelle bisogna raggiungere.
Questo infastidisce i babbuini, ma pazienza.