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Il web 2.0 mi ha rotto le palle (Parte III: la fuga dei ratti dai muri)

Creato il 03 novembre 2013 da Paperoga
RatsWalls Poster Final 72dpi In questa gigantesca rete dell’idiozia, grande quanto il mondo, ci siamo caduti tutti:
1) i ragazzini che si minacciano di morte a vicenda per difendere l’onore della loro boyband;
2) gli adolescenti che riprendono le loro stesse risse da ubriachi o le palpate alle coetanee;
3) i ventenni universitari che gonfiano kilometri di polemiche su ignobili cazzate, o che cercano di diventare twitstars arrovellandosi il cervello su cosa postare di straordinariamente intelligente;
4) i padri o le madri di famiglia che postano 72 foto al giorno del proprio figlio, pannolino sporco di merda liquida compreso;
5) i trentenni artistoidi sedicenti intellettuali che di professione fanno o vorrebbero fare le blogstar in attesa che qualcuno gli pubblichi il fenomenale romanzo italiano che hanno nel cassetto e che nel frattempo ci ammorbano con il loro fine senso estetico, la loro incorrotta moralità antiberlusconiana, la loro stravolgente incuranza dei canoni borghesi, piccoli bukowskini tutti uguali  in fila per sei col resto di due, che ti fanno pensare a quanto talento incompreso e sprecato ci sia nel sottobosco di questo paese. Ora, i ragazzini e gli adolescenti hanno la scusa di essere adolescenti. Si tratta di ragazzi con poche e confuse idee, privi ancora della necessaria dose di empatia, che si fanno spazio nel loro spietato e cattivo mondo con i loro consueti modi privi di misura. E che usano facebook con la stessa ottusa e acerba violenza con cui si gridano in faccia invece di parlare, o fanno gli alternativi vestendosi tutti identicamente come gonfi pagliacci, o gli esibizionisti narcisoidi allo stesso modo con cui occupano eroicamente e senza motivo la loro scuola d’autunno.
Gli universitari hanno la scusa che non hanno un cazzo da fare, e passano le loro toste giornate a girovagare per i portici di via zamboni (o i corrispettivi luoghi dello struscio accademico per i non bolognesi) o bere scadente vino da 1 euro al litro per poi collezionarne le bottiglie sui pensili della cucina dissertando confusamente su autori mai letti e musica mai ascoltata. Gli adulti non hanno scuse, dovrebbero avere idee e cucuzza sufficienti, ma sono peggio degli adolescenti e degli universitari, come in tutte le cose della vita. Avete mai letto i commenti agli articoli dei giornali online? Lì c’è la conferma che la razza umana meriterebbe l’estinzione mediante dolore. Che la prossima generazione di esseri umani dovrebbe nascere monca di lingua e arti per digitare, come contrappasso. Gli adulti usano gli spazi per esprimere le proprie opinioni producendo una concentrazione di insulsa ignoranza, di insipiente saccenza, di vigliacchissima violenza verbale, di razzismo becero in ogni forma consueta o meno. Commentano ogni cosa dall’incidente stradale ai tatuaggi di Belen, e danno il meglio di sè quando c’è di mezzo un immigrato o un frocio o una qualunque minoranza diversa dalla loro merdosissima maggioranza di stronzi. Insomma, il 2.0 ha attirato nella rete una sconfinata colonia di ratti che dalle loro tane non fanno altro che cliccare e digitare con l’ossessione tipica dei disturbati mentali. Per loro internet non è un gioco: internet è lo spazio che viene loro negato nella vita vera, e che non riflettono sul perchè, nella vita vera, nessuno li si incula di pezza: non perchè siano delle povere vittime della negazione della libertà, ma perchè nella vita vera le loro cazzate passano indisturbate come scoregge che manco puzzano. Internet è il loro modo di uscire dai muri. Su internet invece questa gente ritrova il fiero orgoglio da troll di ammorbarci con la loro merda in forma di post. E’ per questo che preferisco rimanere ancorato ad un passato prossimo che si tiene a distanza da questi cazzo di social network e a questo bisogno ossessivo di dover scrivere per forza qualcosa su uno schermo. Rimango ancorato al concetto molto “slow” di blog, ormai destinato all’estinzione, navigo servendomi ancora di un reader, se mi piace una pagina me la salvo in un apposito contenitore. Lo so, fa molto 2005, devo essere rimasto indietro. Ed ho fatto il fioretto di evitare di scrivere qualsivoglia commento nei forum, sui siti, e tenermi lontano da qualsiasi cosa ricordi un social network, ed evitare la tentazione di comprare uno smartphone per impedirmi di star lì come un pirla a rincoglionirmi su uno schermo anche mentre cammino. E perchè il tanto decantato social, in rete, si traduce alla fine in oceani di parole urlate, opinioni non richieste, litigi sul nulla, intrusioni costanti nella propria privacy e autospiattellamento continuo e narcisistico dei cazzi propri. Preferisco i lunghi silenzi del 1.0. Preferisco l’asocial network. Sarà retrò, per qualcuno sarà snob, ma ho sempre accettato il rischio di passare per tale. Sin da quando a 13 anni obiettavo ai miei amici in fissa con i paninari che la fibbia El Charro era una delle creazioni più mostruose della moda di ogni tempo, prendendomi dello sfigato e del villico. O quando a 19 anni urlavo incompreso che Jovanotti e il suo penso positivo erano una insopportabile sòla.
Ci metto la faccia, dunque. Voi, con quel cellulare sempre connessi, non mi piacete. I vostri costanti retweet, follow, mi piace, cazzi e mazzi vari, mi fanno sbadigliare. Il web, così com’è, è una trappola da cui stare il più possibile lontani.
Perchè il futuro dipinto da Wall-E, (o anche quello della fenomenale storia “Zio Paperone e la rivoluzione elettronica” ( Topolino 1438-39), ovvero di un popolo impigrito e rimbecillito dalla prigione mentale dell’essere constantemente connessi, è solo apparentemente una visione distopica. E che uno come Jobs sia oggetto di culto e non di maledizioni, è la conferma che questa trappola si è ormai chiusa alle nostre spalle nella dabbenaggine generale, e possiamo solo limitare i danni.

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