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Ci raccontano di aziende, attivita’ e progetti ‘ecocompatibili’, di industria che non inquina, di architettura che non deturpa, di filtri che purificano. Dietro a ciascuno di questi progetti “eticamente corretti” c’e’ una qualche organizzazione, fondazione o associazione che ‘controlla’ e ‘certifica’. Caso vuole che a dirigere tutti questi apparati filantropici ci siano personaggi di dubbia natura e caso vuole che a finanziarli ci siano gli stessi imbecilli che poi da quelli vengono entusiasticamente certificati. Ci siamo capiti, sono tutte balle.
Basti pensare che l’impatto zero non esiste proprio come concetto. La natura vive ed evolve grazie all’interazione delle sue parti, grazie ai loro impatti. Lo si definisce equilibrio dinamico. Non e’ ad impatto zero nessun essere vivente di nessuna specie, in special modo non lo sono gli esseri umani. Il problema e’ che noi abbiamo sforato di gran lunga i limiti accettabili. Che ci piaccia o meno ammetterlo, appena nati ci avvolgono in una calda copertina misto-sintetico in una stanza ad amosfera controllata in una struttura ospedaliera illuminata giorno e notte. Il nostro impatto zero finisce al primo vagito. Da quel momento la nostra presenza provoca un effetto devastante sul resto della natura anche se non ce ne accorgiamo o facciamo finta di non accorgercene. Lo consideriamo normale.
Per riavvicinarci all’impatto zero dovremmo eliminare qualsiasi accessorio, vivere nudi all’aria aperta, cogliere frutti e cacciare con pietre e bastoni, lavarci di sola acqua, nutrirci senza cucinare e nel resto della giornata stare piu’ immobili possibile. Questa e’ la migliore approssimazione di impatto zero. Una ferriera o un palazzo di dieci piani, in tutta evidenza, esulano da qualsivoglia approssimazione.
Ci si soddisfa allora, in coscienza, di considerarsi ad impatto minimo. Sacchetti biodegradabili, compostaggio domestico, commercio equo-solidale e via discorrendo. Dispiace dirlo, ma sono tutte balle pure quelle. Dove credete che li producano i sacchetti biodegradabili (che poi non lo sono mai)? In uno stabilimento industriale, con macchinari in acciaio, lubrificanti, coloranti, diluenti e consumi elettrici inimmaginabili. Esiste paragone tra l’efficacia di un bidone di compostaggio domestico e il costo ecologico della filiera che ha portato tutti quegli alimenti sulla tua tavola? Esiste paragone tra l’aver (forse) contribuito a stipendiare un operaio senegalese 10 centesimi in piu’ al giorno e l’impatto ecologico di un’inutile tovaglietta di paglia africana che deve fare 10.000 miglia su un cargo per arrivare sulla tua tavola da pranzo? Direi di no.
Allora guardiamolo per quello che e’, il nostro impatto minimo:
C’e’ un po’ del loro dolore dentro a ciascuna delle nostre aspirine, dei nostri schiumosi shampoo alla jojoba, dei nostri esclusivi vestiti di tendenza, dei nostri crapuli spuntini al fast-food.
C’e’ un po’ del loro dolore in ogni secondo in cui premi sull’acceleratore e in ogni frenata, in ogni rubinetto aperto e in ogni luce accesa, ce n’e’ nella tastiera del computer, in ogni pixel dello schermo e persino nel software.
C’e’ un po’ del loro dolore in tutto cio’ che compone il tuo luccicante benessere e ce n’e’ molto di piu’ in tutto cio’ che comperi senza motivo, che accumuli per noia e che presto o tardi butterai, per fare spazio ad altro.
Verra’ un giorno in cui ce la faranno pagare e so gia’ che tireranno dentro anche me nella loro vendetta, ma non gliene porto rancore, non posso pretendere che in quel frangente sappiano pesare le colpe con lucidita’, sono pur sempre delle bestie.
Fonti(?): Il Festival Internazionale del Film di Roma a 'impatto zero' per ... L'ambulanza degli animali dagli ''Amici Cucciolotti 2011'' Abu Dhabi, la green economy al World future energy summit 2011
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