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In morte di un boss della Magliana

Creato il 06 maggio 2012 da Nottecriminale9 @NotteCriminale
di Alessandro Ambrosini
In morte di un boss della MaglianaQuante finestre apre la morte di Angelo Angelotti, quali storie fa uscire quel corpo steso a pancia in giù sul selciato di Spinaceto ? E’ come se si rinverdissero momenti di terrore, di crimine senza pace, di terra senza padroni. 
Perché la morte di Angelotti chiama altra morte: quella di Enrico De Pedis. Perché quella dell’altro ieri non è una morte normale e non è normale nemmeno l’omicidio di quel giorno del 1990, in Via San Pellegrino. 
Era il 2 febbraio. Era l’anno dei mondiali di calcio in Italia e gli affari per gli immobiliaristi andavano a gonfie vele con tutte le infrastrutture da creare per il grande evento. A Roma comandava la banda della Magliana o quello che ne restava. A reggere le fila, a contare su disponibilità economiche notevoli e a tessere rapporti di vario genere c’è il testaccino Enrico De Pedis. 
 In morte di un boss della MaglianaPotente e rispettato ma troppo individualista per comandare o gestire chi da sempre non voleva capi. Troppo distante ormai da quella forma solidaristica che imponeva la “stecca” per i compagni in galera o per i familiari di chi era morto o latitante. Ciò che aveva fatto crescere con la fama e l’aiuto anche dei suoi compari doveva rimanere solo suo. I rapporti con i servizi segreti, col Vaticano e con il potere mafioso erano il personale passaporto per il potere vero. E ora l’aveva. Ora, era nel giro dei colletti bianchi, dei criminali in giacca e cravatta, di quelli che si insinuano nella società civile. 
 Non c’era posto per i banditi da borgata, con slang da bettola e pistola sempre pronta all’uso. E dire che proprio da quel mondo proviene, da quell’inferno di periferie che lui cerca di dimenticare tra zanne di elefante e tappeti costosi, tra divani in pelle e vestiti da stilista. Cerca sguardi diversi ma dimentica quelli alle sue spalle e questo non è perdonabile. La sua fine non ha un solo mandante e non ha un solo motivo. 
Per mettere in atto un agguato a Renatino, come veniva chiamato, servono ordini dall’alto e motivi forti. E un piano che non possa fallire. I motivi erano tanti. Ce li aveva Colafigli e prima di lui Edoardo Toscano, ce li aveva Nicoletti, l’uomo dei soldi. 
In morte di un boss della MaglianaSi, ce li aveva Edoardo Toscano prima di tutti. Mesi prima aveva iniziato la sua caccia a Renatino ma, come molte volte succede, quando si parla della Banda della Magliana, chi vuole sorprendere viene sorpreso e muore a Ostia con un colpo in testa fuori da una panetteria. L’omicidio Toscano non può essere perdonato, non è un sodale qualsiasi. E’ uno di via Chiabrera, è una radice della banda, non una foglia. 
Colafigli lo sa e sa anche che De Pedis non rispetta più le stecche, non rispetta più un patto che dura da sempre. Da quando era stato Giuseppucci a stabilirlo , quel Giuseppucci che gli compare in sogno ogni notte, a suo dire. 
 Nicoletti, il cassiere, l’uomo dei soldi, colui che investiva e deteneva il potere, quello vero. Quello che molti della banda non hanno mai avuto veramente. Quello che sapeva usare le “batterie” e i loro capi per lucrare e intimorire. Colui che deteneva parte dei soldi di Enrico De Pedis aveva più di un motivo per volere morto il testaccino. Oltre all’aspetto economico doveva lavare uno sgarbo fatto dal boss a suo figlio Antonio. Particolare non trascurabile questo e ai molti sconosciuto. Ma leggiamo dalle dichiarazioni di Vittorio Carnovale detto “er coniglio” il movente del potente “cassiere”. Era il 25 Settembre del 1993.
 «Per quel che attiene agli affari, il NICOLETTI pativa le ingerenze del DE PEDIS, il quale pretendeva che il primo investisse i suoi soldi, per svariati miliardi di lire: il che, per un verso, comportava che il NICOLETTI vedesse restringersi gli spazi di investimento del proprio denaro, per altro verso che si sentisse obbligato a far fronte delle eventuali perdite nei confronti del DE PEDIS» 
 In morte di un boss della Magliana«Per quanto concerne la vicenda della bisca, e' da dire che Antonio NICOLETTI nel corso di alcune serate nella bisca di Aldo CANTI, aveva perso circa ottocento milioni di lire. Dopo aver pagato una piccola parte di questo debito si era rifiutato di corrispondere la parte restante, aveva accusato il CANTI di truccare le partite e, soprattutto, aveva minacciato di far intervenire il DE PEDIS in suo favore. Il CANTI era stato irremovibile nel pretendere il pagamento ed aveva anche detto chiaramente che del DE PEDIS "se ne fregava". Il DE PEDIS, se per un verso aveva ritenuto estremamente offensivo l'atteggiamento del CANTI, sintomatico di intollerabile mancanza di rispetto nei suoi confronti, per altro verso non aveva mancato di rimproverare violentemente, in presenza del padre, Antonio NICOLETTI per aver speso il suo nome e di imporgli di adempiere ai suoi obblighi nei confronti del CANTI. La cosa aveva peraltro molto disturbato il NICOLETTI, facendo si che al fastidio per le ingerenze del DE PEDIS nei suoi affari si andasse ad aggiungere il rancore per il trattamento riservato dal DE PEDIS al figlio. Tutto cio', col tempo, porto' il NICOLETTI ad avercela fortemente col DE PEDIS, forse l'unica persona, a Roma, la quale riusciva ad imporgli le sue condizioni e a non subirne la prepotenza.» 
E’ tutto questo che farà muovere la macchina da guerra che porterà alla morte di “Renatino” De Pedis. 
 E’ il 2 febbraio del 1990. Sono otto le persone che parteciperanno all’esecuzione. Da Massa Carrara sono arrivati anche Dante dal Santo e Alessio Gozzani. 
In morte di un boss della MaglianaAngelo Angelotti da' il segnale di via libera. E' lui che con la scusa di regolare certi affari attira il suo "amico" De Pedis nella trappola e gli da' appuntamento in via del Pellegrino. I due s' incontrano, discutono, poi alle 13 "Renatino" inforca il suo motorino "Honda" e a tutto gas schizza contromano lungo la via: ma si trova di fronte una grossa moto. "Renatino" intuisce il pericolo, inverte la marcia: ma i killer lo raggiungono e lo abbattono con una pistolettata. 
La moto, con Antonio D' Inzillo alla guida e Dante Del Santo col revolver, sparisce in pochi secondi. Si ritirano anche gli altri sei uomini del commando che avevano bloccato le eventuali vie di fuga, tra loro Giuseppe Carnovale e Libero Mancone. 
inisce così, secondo le tesi dell’accusa e di Vittorio Carnovale detto “er coniglio”, la vita di Enrico “Renatino” De Pedis. 
Con Angelotti a dare il bacio di Giuda e il boss a sopravvalutare il suo potere o a sottovalutare la determinazione del resto della banda. Quel giorno uscì in motorino per troppa sicurezza, era a “casa” sua, a Campo dè Fiori. 
Ma l’erba intorno a lui era già tutta bruciata. Angelotti continuò a ribadire la sua estraneità a quell’agguato, lo disse per anni e in tutte le occasioni. Ma quei gioielli che doveva vendere a Renatino rimarranno l’unica cosa appurata e vera. 
Talmente vera, che follemente si potrebbe pensare che la morte a Spinaceto dell’Angelotti sia una vendetta perfetta,servita fredda 22 anni dopo.

Etichette:

Enrico De Pedis, Banda della Magliana, Nicoletti, Colafigli Marcello, Edoardo Toscano, Angelo Angelotti, Libero Mancone, Vittorio Carnovale, criminalità, violenza, droga, Notte Criminale, Alessandro Ambrosini


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