Dobbiamo farcene una ragione, dietro una grande opera c’è sempre un grande imbroglio. Dalla Tav all’Expo’ dalla Salerno-Reggio Calabria al Mo.se (evitando l’uscita di Barberino sul Mugello aperta solo 15 giorni all’anno), non esistono infrastrutture o progetti in corso d’opera che non vengano puntualmente vampirizzati da mazzettari volanti e funamboli della tangente.
L’Italia è una repubblica fondata sull’arte della cresta! Ecco cosa ci unisce; quando si tratta di corruzione, concussione e riciclaggio sappiamo essere un solo popolo. Anche se da un ventennio a questa parte nessuno più si accontenta delle briciole, più che altro si tende a spremere qualunque cosa sino al parossismo per poi lasciarla cadere nella desolazione e nel silenzio più assoluto.
Il Mo.se (Modulo Sperimentale Elettromeccanico per la difesa delle acque alte nella laguna di Venezia) sarebbe dovuto essere motivo d’ orgoglio per l’ingegneria civile italiana – quattro dighe mobili, composte da 78 paratie di 42 tonnellate ognuna, che attraverso un sistema combinato (idraulico e ad aria compressa) è in grado di proteggere la laguna dal fenomeno delle acque alte dal Lido a Chioggia – e invece si è rivelato l’ennesimo atto di indiscriminato sciacallaggio di risorse pubbliche.
L’opera iniziò nel 2003, non senza dubbi e proteste da parte degli ambientalisti – al Tar sono stati presentati ben nove ricorsi – ma la sua realizzazione si è protratta più a lungo del previsto (che novità) e i suoi costi sono lievitati a dismisura: il preventivo iniziale era di 1,6 miliardi di euro, ma nel 2013 sono diventati 4,9 miliardi e per la sua ultimazione, prevista nel 2016 – ma possiamo serenamente concederci il beneficio del dubbio -, arriverà a costare la bellezza di 5,6 miliardi di euro. In poche parole, nel suo non ben definito corso d’opera, i costi del Mo.se si sono praticamente quadruplicati.
Dunque, vista la copiosa emorragia di denaro pubblico letteralmente gettato a mare, salta abbastanza agli occhi – anche ai più ingenui e profani - che i conti del Mo.se non tornano poi tanto, si nota un “margine piuttosto evidente” di sforamento dei costi che desta quantomeno fondati sospetti.
A quel punto ci si mette anche Armando Mammino, l’ingegnere che fu consulente del Magistrato delle acque di Venezia dal 2006 al 2009, il quale dichiarò che se il Mo.se fosse stato costruito in Olanda avrebbero impiegato un terzo del tempo e sarebbe costato un terzo”.
Il risultato di tale malafede fu che Mammino nel 2009 fu prontamente trombato e sostituito da un altro esperto.
L’inchiesta sui lavori del Mo.se è in piedi da circa tre anni e inizialmente i magistrati fanno scattare le manette per l’amministratore delegato della Mantovani, l’impresa più coinvolta nei lavori, Piergiorgio Baita e per il manager del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati (considerato il burattinaio dell’operazione), ma stamani vengono raggiunti da misure cautelari altre 35 persone tra cui spiccano i nomi del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, dell’assessore alle infrastrutture Renato Chisso e dell’ex governatore della Regione Veneto Giancarlo Galan.
Il metodo con cui venivano elargite tangenti è un evergreen, il sistema dei fondi neri: secondo le indagini della Guardia di Finanza Baita sottraeva fondi per l’opera del Mo.se (circa 20 milioni di euro) portati in seguito a San Marino dall’imprenditrice Claudia Minutillo – ex segretaria di Giancarlo Galan; a quel punto i soldi venivano riciclati e ripuliti da William Colombelli tramite la finanziaria Bmc e infine smistati in incliti conti esteri a completa disposizione dei politici e degli amministratori coinvolti.
Non c’è che dire, forse i nostri amministratori non riescono a rispettare i tempi di consegna delle opere pubbliche, ma come sanno ripulire il denaro sporco loro nessuno.
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