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Indianapolis 2005, l’oltraggio: quando la Formula 1 litigò con l’America

Da F1web

Di nuovo in America. Sul campo di guerra dove la Formula 1 globalizzata del terzo millennio ha raccolto meno di quanto ha investito. Un po’ perché negli States il popolo dei motori vive di altre categorie. Un po’ per l’effetto del danno d’immagine che il circo di Ecclestone incassa nel 2005 a Indianapolis.

La crisi comincia venerdì nelle prove libere, quando Ralf Schumacher schianta la Toyota alla soprelevata. Pierre Dupasquier, al vertice del reparto corse della Michelin, non fa misteri: la posteriore sinistra, la gomma più sollecitata in appoggio, non regge il carico trasversale alla soprelevata.

All’epoca c’è la lotta delle gomme: il Bibendum corre contro Bridgestone che vince ininterrottamente il Mondiale con la Ferrari da cinque anni. Per salvare la faccia e la corsa, Michelin chiede l’autorizzazione a cambiare le specifiche dei penumatici che invece sono stabilite all’inizio del week-end. La FIA ovviamente respinge. Anche perché la Ferrari non consente deroghe.

Il braccio di ferro si trascina fino a domenica, poi Dupasquier gioca l’ultima carta: chiede di piazzare una chicane in mezzo alla soprelevata. La mediazione non c’è.

Alla partenza si presentano in 6: sono quelli che montano le Bridgestone. Gli altri – cioè tutti i team Michelin – parcheggiano nel box dopo il giro di ricognizione. La Ferrari si prende l’unica vittoria di un’annata storta, contro Jordan e Minardi che girano 2 secondi più lente. Jean Todt dice: “Come nel pugilato, vinciamo per ko tecnico”. Schumacher aggiunge: “Avremmo vinto comunque, anche con tutti gli altri in pista”. Ma non gli crede nessuno.

Furioso, lo sfogo di Bernie Ecclestone: “Nei bei vecchi tempi avrei costretto tutti a correre comunque. Proprio quando stavamo costruendo l’immagine della Formula 1 in America, adesso è tutto rovinato”.

Michelin fa mea culpa: annuncia il rimborso dei biglietti e offre 20 mila tagliandi per l’edizione 2006. Forse è il gesto decisivo che persuade il Senato della FIA a cancellare la sentenza di condanna che il Consiglio Mondiale emette a carico dei team. Il caso è archiviato, ma la figuraccia resta. Un marchio indelebile che accelera l’uscita del Bibendum e avversa Indianapolis. Oltre a segnare il rapporto tra gli Stati Uniti e la Formula 1. Che oggi riparte da lì.


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