Through the sorrow all through our splendour.
Don’t take offence at my innuendo.
You can be anything you want to be.
You can be anything you want to be.
Just turn yourself into anything you think
that you could ever be.
Be free with your tempo, be free be free.
Surrender your ego,
be free, be free to yourself.
Ricordo ancora la prima volta che ho sentito questa canzone, chi ero o meglio, chi credevo d’essere, cosa stavo facendo, cosa stava accadendo e che cosa essa presagiva.
Mi fa ancora venire i brividi in quel passaggio.
È una cascata di ghiaccio che schianta sulla mia nuca e mi svuota d’un colpo, fino ai calcagni. È un vuoto aggressivo ed annientante. Morte e scintilla primordiale allo stesso tempo. Evocativa.
In senso stretto. Rituale.
Qualcosa sta cercando disperatamente di dirmi da vent’anni ed io non sono ancora del tutto sicura di cosa.
Qualche volta viene per consolarmi, per regalarmi un ricordo tenero, o presentarmi lo stesso angosciato, qualche volta per scuotermi dal sonno e scaraventarmi sul pinerottolo di casa con una sola spinta. E per sbattermi dietro la porta.
Non la cerco mai, mi viene in mente all’improvviso per un’assonanza, per un’immagine, oppure passa per radio o qualcuno la posta in facebook, come è successo oggi.
Oggi che ho questo mazzo di fiori. Un mazzo di fiori che mi regalano spesso a giugno, e io adesso, arrivo: vengo a farne metà con te, come faccio da tantissimo tempo ormai.
Poi, poi ti racconterò che oggi, ma proprio oggi che ho i fiori e che qualcuno ha postato su facebook Innuendo, è un giorno diverso da ieri per me.