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Io so chi ha ucciso Kennedy

Creato il 26 novembre 2013 da Lundici @lundici_it

Il 26 ottobre 1963, meno di un mese prima di essere ammazzato, durante un discorso pronunciato all’Amherst College, un college dedicato alle arti, John Kennedy disse: “Poche cose sono più importanti per il futuro del nostro Paese e della nostra civiltà del pieno riconoscimento dovuto al ruolo degli artisti.”

Io so chi ha ucciso Kennedy

John e Jackie Kennedy al loro arrivo a Dallas, la mattina del 22 novembre 1963.

Possiamo certamente pensare che furono parole retoriche, pronunciate per accattivarsi la platea, per farsi benvolere da studenti e professori d’arte, tutto quello che volete. Ma Kennedy le disse, e le disse 50 anni fa, come presidente degli Stati Uniti. Quanti uomini politici le hanno pronunciate negli ultimi 50 anni? Quanti lo farebbero oggi? Quanti discorsi politici pongono l’arte al centro della società e del suo futuro?

Esaltare la figura dell’artista, ponendola al di sopra di chiunque altro, e farlo in qualità di rappresentante massimo di una nazione e di una civiltà che, seppure democratiche, hanno sempre celebrato e si sono sempre fondate anche e soprattutto sulla forza, sull’intransigenza, sulla guerra e sui suoi eroi, significò creare le condizioni perché nascessero schiere di nemici che non potevano accettare che un presidente pensasse e dicesse quelle cose.

Forse Kennedy non è stato un politico di massimo valore come spesso si tende a pensare, certamente commise tanti errori, ma è fuori discussione che, con parole come quelle riportate sopra, indicò una strada, una possibile alternativa ad un mondo in cui si debba ricorrere alla violenza per risolvere i conflitti, in cui dare ascolto alla rabbia di fronte alle situazioni di stress, in cui l’arte intesa come approccio “gentile” alla vita sia considerata una debolezza da mammolette, assolutamente inadeguata per relazionarsi con l’altro, sia una nazione o il nostro prossimo.

Io so chi ha ucciso Kennedy

Il presidente USA pochi attimi prima di essere colpito a morte

Non intendiamo qui discutere se ad uccidere Kennedy sia stato solo Lee Oswald o no, ma sicuramente chi ha armato l’assassino in senso stretto o in senso figurato, chi ha determinato le condizioni perché un complotto o un pazzo solitario ammazzassero il presidente, ha voluto fortissimamente anche eliminare e togliere di mezzo una nuova e diversa concezione del mondo, a livello politico, ma anche personale. Chi ha ucciso Kennedy è perciò chi vuole continuare a seguire, nel pubblico e nel privato, la via più semplice, quella per cui ci si lascia guidare dall’orgoglio, dal nostro “io”, dalla rabbia, ponendoci di fronte al prossimo con aggressività e violenza, rispondendo soprattutto alla smania di dimostrare di essere sempre i più forti, nell’accezione più semplicistica del termine.

Chi ha ucciso Kennedy, così come chi ha ucciso John Lennon o Gandhi è chi vuole allontanare da sé la possibilità che esista un’altra possibile via per affrontare le questioni del mondo, chi ha una paura terribile di mettersi in discussione, di soffermarsi sulle proprie debolezze e sulla possibilità che anche “l’altro” abbia una parte di ragione e che vada ascoltato e non solo aggredito e che quindi le controversie possano essere affrontate e risolte con il dialogo piuttosto che con le minacce e la violenza.

Io so chi ha ucciso Kennedy

Il momento in cui Kennedy è colpito dal primo colpo.

Quando Kennedy pronunciò quelle parole pochi giorni prima d’essere assassinato, stava indicando il cammino verso una società in cui sia centrale e importante non solo l’artista, ma che  lo siano anche l’intelletto, la fantasia, la sensibilità. E dunque anche noi, nelle nostre complicate quotidianità, nelle nostre piccole, ma significative esistenze, ogni volta che rivediamo le terribili immagini della sua morte, siamo ogni volta chiamati ad interrogarci se vogliamo far morire e mettere da parte la capacità di far uso di queste qualità e prerogative nelle relazioni con chi ci sta accanto, in famiglia, con gli sconosciuti, nella maniera di guardare e vivere il mondo. Oppure se invece vogliamo salvarle, custodirle, dar loro forza e scegliere la strada più difficile, quella della comprensione, dell’amore, del dialogo, della compassione, che – ne siamo convinti – richiede più forza e coraggio di mettersi ad urlare ed agire come se si avesse sempre e solo ragione.

 

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