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Iper-inferno [14]: “Innanzi al dilemma tra luce e oscurità quest’ultima solitamente prevale”

Da Ludovicopolidattilo

fourth-wall-funny-games-590x350Michael Haneke, Funny Games (2007); remake shot-for-shot dell’omonimo film austriaco dello stesso Haneke (1997)

Le storie raccontate dai demoni che mi assediano forse vi intratterranno, forse non vi parranno degne di attenzione alcuna. Permettetemi di disinteressarmi della questione. Ho ben altre urgenze in questo frangente. Non è del vostro intrattenimento che mi preme. Neppure dei crimini di queste creature, in verità. Sarebbe addirittura ridicolo me ne calasse. Alcuni degli atti che ho compiuto durante la mia esistenza potrebbero non sfigurare nella galleria di scelleratezze che viene a comporsi via via sulla carta e innanzi a voi, se non abbandonerete la lettura di quanto sulla medesima carta registro. Nella loro narrazione – è questo che importa – è celata la chiave di una porta che da tutta la vita desidero varcare. Per questo riporto ogni sillaba, ogni parola e ogni frase. Nulla mi deve sfuggire. Ogni singolo moto di ogni feroce demone dall’alito corrosivo può essere non solo prezioso, ma addirittura indispensabile. Qualunque conseguenza comporti per il mondo, quando avrò tra le mani il libro che raccoglie i sussurri di ogni demone qualcosa dovrà accadere. Allora determinate parole presenti in esso, attualmente ancora sconosciute, si legheranno l’una all’altra in una frase di senso compiuto, in una risposta alla domanda che ancora non è stata posta da colui che ancora non è giunto, guidandomi alla soluzione dell’enigma.

Lasciatemi ritornare alle vicende che mi hanno condotto in questo salone, che ho tempo, forse, di narrarne alcune.

Per molti anni non vidi più Morgenstern, ma le sue parole, scritte nella mia mente indelebilmente, rappresentarono per tutto quel tempo una guida salda agli accadimenti della mia esistenza e ai comportamenti da attuare in risposta.

Mi impegnai nello studio con dedizione inflessibile. Trascurai gli svaghi tipici della giovinezza e imparai a compiacere gli adulti, si trattasse dei miei genitori come dei precettori o di qualsiasi altra figura autorevole. Con i coetanei sapevo dissimulare ogni atteggiamento competitivo e, nonostante i successi scolastici di rilievo, non venivo percepito quale modello o antagonista. Piuttosto come colui su cui contare in caso di necessità, magari per un aiuto nello studio o per la soluzione di un problema particolarmente complesso. Sapevo ascoltare ed elargire consulenze sempre puntuali e misurate. Dalle questioni economiche a quelle sentimentali i compagni potevano sempre contare su di me. Divenni un serio, misurato e stabile riferimento.

Pur non avendo un aspetto particolarmente attraente, la mia vivida intelligenza e la mia eloquenza fuori del comune mi resero piuttosto interessante per l’altro sesso. Nonostante ciò non mi dedicai mai alla seduzione e non mi concessi quando ne fui oggetto, ritenendo di dover destinare le mie energie e la mia attenzione interamente allo studio. Solo talvolta mi dedicai a un passatempo appagante quanto inusuale. Accadeva quando mi esercitavo nel manipolare gli altri senza uno scopo particolare, ma unicamente per verificare la mia abilità nel condizionare il destino delle persone senza che il mio intervento risultasse palese. In questo curioso genere di attività raggiunsi livelli così elevati di perizia e divenni audace a tal punto da provocare, alcuni casi, conseguenze di rilievo e gravità non trascurabili. Le vitteme del mio agire funo scelte casualmente, senza malevolenza alcuna. Come si fosse trattato di un esperimento scientifico rischioso in ambito psicologico e sociologico. Ciò non comportò il manifestarsi di rimorsi o questioni di coscienza di sorta. Piuttosto mi rese estraneo all’usuale e diffuso sentire morale.

Terminati gli studi superiori esitai a perfezionare la mia iscrizione all’università, bloccato da una incertezza rispetto alla scelta dell’indirizzo più consono alle mie inclinazioni. Da un lato la matematica pura e la logica sapevano affascinarmi per il rigore e la coerenza architettonica delle strutture astratte che forgiavano. Nel contempo la speculazione filosofica e metafisica mi attirava in virtù della propria attitudine a dissolvere i confini della disprezzabile realtà biologica. Indugiai un’estate intera in questa riflessione per nulla oziosa, in grado di condizionare il mio futuro in modo determinante, quando tutti i dubbi vennero fugati da una nuova e imprevista apparizione di Morgenstern.

Alcuni compagni di studi mi avevano invitato sulle sponde del fiume Klauder per assaporare alcuni pretzel fragranti sul prato fiorito, osservare le barche da regata in competizione e chiacchierare dei progetti realizzabili come di quelli affatto tali ma irrinunciabili per la mente e il cuore di un giovane pronto per afferrare la propria porzione di mondo.

Come spesso accadeva, le mie facezie tenevano saldamente ancorata l’attenzione del gruppo quando avvertii nella mia bocca un dolore persistente in corrispondenza con il dente che diversi anni fa mi ero divelto con violenza per ritualizzare la mia dedizione a un oscuro maestro. L’intensità della sensazione non era tale da produrre dolore ma neanche tale da poter essere ignorata facilmente.

Dissi ai miei compagni che mi sarei recato a procurare bevande adeguate all’afa della giornata e mi alzai dal prato senza guardare nella direzione che sapevo dover percorrere. Mi avviai con calma ostentata e quando raggiunsi il confine del prato segnato da una fila di ontani assai antichi vidi una figura nera che, appoggiata a uno degli alberi, teneva le mani in tasca e sembrava intenta a scrutarne il tronco con interesse. Le sue prime parole sembrarono riferirsi ad argomenti inattuali. Quando riflettei più tardi sul loro significato non mi parve più così.

«Adalbert Stifter diceva che gli impiallacci migliori si possono ricavare dal legno dell’ontano poiché presenta la più bella combinazione di colore e disegno degli anelli e della fiammatura, ovvero la striatura trasversale rispetto alla venatura. Era uno scrittore infinitamente noioso, interessato agli aspetti secondari della vita e della realtà, quelli di cui si occupano solitamente i mediocri. Dedicava interminabili riflessioni a fenomeni e comportamenti caratterizzati da ritmi lenti. Naturalmente utilizzando toni insopportabilmente dimessi. Ignorava certamente quanto l’ontano fosse apprezzato nell’ambito dei riti stregoneschi per il fatto di crescere accanto all’acqua. I bacili di legno usati anticamente nella divinazione erano realizzati con il suo legno, ed erano di ontano i manici delle scope delle streghe. Forse perché, quando viene tagliato nel periodo vegetativo, il suo legno, a contatto con l’aria, si tinge di rosso».

Morgenstern parlava fissando l’albero come se il suo sguardo avesse potuto produrre un foro tale da attraversare progressivamente l’intero spessore del fusto. Ruotò rapidamente su se stesso e prese a camminare spedito certo che l’avrei seguito.

Mi condusse in silenzio presso il patio di uno dei caffè più noti della città. Un cameriere ci indico il tavolo dove sederci e rimase in attesa delle nostre richieste. Ordinai un tè mentre Morgenstern chiese un traminer aromatico. Mentre attendevamo che la nostra ordinazione arrivasse, finalmente Morgenstern mi rivolse nuovamente la parola: «Ogni atto che compiamo comporta una conseguenza, questa conseguenza porta a un evento ulteriore e così via. La scelta che stai per compiere influenzerà ineludibilmente il tuo destino. Mi hai chiesto molto tempo fa di guidarti oltre la soglia che separa la luce dall’oscurità. So che quanto nella luce vive e agisce ti sa affascinare e ha iniziato a chiamarti. Ti chiama ogni giorno in mille forme e con mille diverse voci. È opportuno che io ti conceda una opportunità ulteriore di scelta, affinché io sappia di poter contare sulla tua convinta abnegazione d’ora innanzi e tu, nel contempo, sia consapevole del fatto che ciò che fai è ciò che hai scelto e non ti è stato imposto da alcuno”.

Fui determinato nel rispondere: “Signore, la mia scelta di molti anni fa è stata la mia forza e ancora lo è. In ogni circostanza so che i miei piedi sono sostenuti da una roccia solida e inamovibile, e neppure le tempeste sono in grado di farmi vacillare. Non comprendo in che modo pochi fugaci incontri con voi abbiano consolidato la sabbia e il fango su cui cammino sino a mutarli in roccia ma so che niente che la luce possa offrirmi e che nella luce dimori può fare altrettanto. Non nego di aver indugiato talvolta in fantasie vicine alla consuetudine borghese ma si tratta di momenti esigui in durata e intensità». Mentre tuttavia accennavo a quelle fantasie il mio sguardo si abbassò sulle mie mani che stringevano con forza il bordo del tavolo e faticai a risollevarlo, mentre il ritmo dei miei palpiti accelerava”.

Quando ebbi il coraggio di alzare gli occhi trovai il mio interlocutore intento a fissarmi con il volto atteggiato in ghigno beffardo, come se avesse capito a cosa mi riferissi e intendesse dissuadermi a proseguire negli atteggiamenti che avevo adottato, in quanto del tutto vano.

«Immagino tu ti stia riferendo a fantasie di questo tipo» disse voltando il capo verso un tavolino collocato dalla parte opposta del patio dove sedevano tre signore vestite alla moda e dall’aspetto opulento. Erano tutte e tre chiaramente impegnate a scrutare Morgenstern senza la minima intenzione di dissimulare l’interesse per un personaggio che le cronache e i pettegolezzi più indulgenti definivano “equivoco” ma di cui si sospettava ben’altro. Si comprendeva come stessero dedicando maldicenze di ogni genere al mio interlocutore scambiandosi informazioni aggiornate circa la sua reputazione terribile. Una delle donne, in particolare, sia col tono stridulo che con ampi e teatrali gesti, sembrava accanirsi nel connotare Morgenstern come la causa di tutti i mali del mondo dalle sue origini sino all’epoca moderna. Era alta, segaligna e bionda, con una pettinatura a spirale che allungava la sua statura di una consistente quantità di centimetri. Grazie a ciò la sua figura svettava oltre i tavoli affollati da avventori di quell’affollato caffè cittadino.

Morgenstern prese a fissarla concentrato e tranquillo mentre lei continuava imperterrita a guardarlo con espressione disgustata e a riversare sulle amiche un torrente di notizie apprese presso i circoli più esclusivi dell’epoca. Udii il respiro di Morgenstern emettere un suono ritmato e breve. Non osai dire nulla e mi limitai a osservare quanto accadeva.

La dama proseguì per circa un minuto il suo velenoso monologo, quindi si ammutolì improvvisamente mentre sul suo volto si disegnava una espressione imbarazzata. L’imbarazzo crebbe e si diffuse agli avventori circostanti quando fu vista sollevare la sottana, scostarsi la biancheria con un gesto impacciato. Ella prese a masturbarsi con veemenza e ritmo sostenuto davanti agli attoniti avventori e alle amiche altolocate. Il silenzio più assoluto pervase l’intera area del vasto patio. Chi stava assaporando una bevanda si bloccò come inebetito. Gli stessi camerieri cessarono di correre da una tavolo all’altro e si fermarono impietriti sostenendo vassoi dai quali, per la forza di inerzia, ampolle, bicchieri, tazze e zuccheriere di ogni tipo e dimensione furono proiettati a terra infrangendosi con fragore. Mongenstern, serio e concentrato, fissava la donna, continuava a respirare ritmicamente, le gambe accavallate. L’indice e il pollice di una mano impegnati ad arricciare una ciocca della barba.

La rappresentazione più oltraggiosa e oscena cui i presenti avessero mai assistito si protrasse sino al compimento dell’atto esibito dalla incolpevole donna sapientemente manipolata dalle arti occulte di Morgenstern. Attoniti, i cittadini capitati di fronte a quella scena equivoca non riuscirono a distogliere lo sguardo dal pube e dallo sguardo allucinato della protagonista. Né a intervenire ricoverandola forzatamente presso un ambito riparato. Questa, sicuramente consapevole di avere intrapreso una pratica aberrante per il luogo e le circostanze, non potè evitare di perpetrarla. Dopo l’esito fragoroso ancora qualche istante di silenzio, poi i più si allontanarono rapidamente lasciando i bicchieri colmi a metà e il conto da pagare. La donna che aveva indugiato suo malgrado in pratiche tanto lascive quanto ostentate fuggì incespicando ripetutamente nella propria biancheria intima calata sino alle caviglie, urlando e piangendo con tale disperazione da spaventare uccelli e cani entro un raggio assai ampio. Le amiche esitarono prima di correrea aiutarla. Seppi diversi mesi dopo che la poverina si era suicidata recidendosi un’arteria del collo con il paziente e ciclico scorrere avanti e indietro di un tagliacarte.

Rimasti quasi soli nel patio del caffè riprendemmo la conversazione. Ovviamente fu Morgenstern a parlare: «Tutto qui in effetti. Una semplice stimolazione meccanica che non impegna più di un paio di minuti. Certo sono preferibili circostanze in grado di garantire una certa discrezione e qualche gesto in coincidenza con il prologo e l’epilogo dell’evento centrale, ma l’essenza della questione si riduce a nient’altro che questo». Fu l’epigrafe collocata dal mio mentore in calce alla sua impresa.

Non potevo non essere affascinato e stupito a un tempo dal suo potere sugli altri esseri umani. Solo pochi tra i presenti avevano colto il legame tra lo sguardo di Morgenstern e quanto accaduto alla donna impudica. Conoscendo la fama del mio compagno di ristori pomeridiani, alcuni avevano sospettato come tra il suo sguardo insistente e gli eventi appena conclusi sussistesse un legame causale. Ma tale idea era stata subito messa da parte in nome di un pragmatico realismo.

I miei compagni avevano probabilmente abbandonato ogni speranza di vedermi ritornare alle chiacchiere leggere e ai pretzel sulla sponda del fiume. In quel mentre, in parte eccitato e in parte turbato, camminavo accanto a Morgestern lungo una via cittadina poco affollata in quelle ore di un pomeriggio primaverile.

“Criptolinguistica, archeografia, lingue indoeuropee e semitiche, logica delle correlazioni, simbologia ancestrale costituiranno la base dei tuoi studi, mentre di antropologia, medicina, chimica e fisica saranno necessari alcuni rudimenti ai quali ti istruirò io stesso” disse egli prospettandomi il corso di studi che avrei intrapreso per dispormi adeguatamente alla ricerca cui ero destinato. Non era ciò a cui avevo pensato negli ultimi mesi ma in quel momento sapevo che il mio destino, per sempre, sarebbe appartenuto a quell’uomo inquietante, affascinante e feroce. Desiderai con tutto me stesso che fosse così.



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