Riprendendo il lavoro originale di Pernigotti, G. Pisano lo definisce un ricordo di una delle cosmogonie più importanti dell'Egitto antico, quella dell'ogdoade di Ermopili " Questo grande scarabeo (2.5 per 3.6 cm) viene ascritto al VI-IV sec. a.C. e proviene dalla collezione Biggio, dell'omonima famiglia di Sant'Antioco (1). Venne descritto nel 1983 da Pernigotti (2), che vi riconobbe un motivo tipicamente egizio. La scritta sottostante è in caratteri fenici dell'epoca suddetta e viene letta gr 'sˇmn bn ḥmlk. costituita da quattro divinità maschili che hanno testa di rana, come le loro quattro controparti femminili hanno testa di serpente; batraci e rettili, che ricordano le acque dalle quali sono usciti, sono figure simboli di rigenerazione. [...]Il reperto reca incisa sulla base una scena religiosa, inquadrata dal sole alato, il cui centro ideale è la nascita sul fiore di loto del fanciullo divino accompagnato da divinità, individuate anche da iscrizione, tra le quali la dea a testa di rana, Heqet. " (3).
Fatalmente come accade quasi a tutti i reperti sardi definiti unici, anche il destino di questo scarabeo si compie al solito modo e secondo la I legge di Pietro Murru, della massima mortificazione: " Gli elementi, che caratterizzano le concezioni religiose di Ermopoli, hanno perso in questo caso il loro colore originario diluiti come sono in una vasta tematica sincretistica, per cui di essi non rimane se non un'eco lontana ".