La partita Italia-Germania di ieri sera sarà ricordata come il match del riscatto: da una parte la generazione over 40 che voleva l’attacco nostalgico dei Mondiali di Spagna dell’82; dall’altra la generazione degli over 20, pronta a dare una bella lezione alla Germania della Merkel, che tiene in pugno l’amaro destino della nostra economia.
Eppure il vero riscatto sta nei due goal di Mario Balotelli, l’italiano adottato, figlio di immigrati ghanesi. Trent’anni fa il nazionalismo del Belpaese era tutto lì, nei tiri di Paolo Rossi. Oggi nel 2012 tra le fila della nostra Nazionale c’è un ragazzotto della pelle nera, che è un italiano vero.
Qualche anno fa, in un giro notturno a Brescia, mi ritrovai in mezzo ad una comunità di giovani ghanesi. Pensavo tra me e me agli scherzi bizzarri che fa la storia: una delle città più razziste nei confronti dei meridionali era completamente abitata dagli stranieri. Del resto, basta poco per vomitare la nostra anima razzista, fare di tutta un’erba un fascio.
L’abbraccio di Mario alla mamma Silvia, dopo il passaggio degli azzurri alla finale degli Europei 2012, fotografa una paginetta da romanzo d’appendice, che avrebbe fatto gola a Charles Dickens e agli scrittori vittoriani simili: il bimbo africano abbandonato in un ospedale e affidato ad una coppia di italiani che lo alleva, lo circonda d’amore e gli ricorda che nella vita basta restare se stessi per essere campioni.
Sono tornate tutta una serie di coincidenze, proprio lì nella Varsavia – una delle capitali europee che hanno segnato i miei vagabondaggi – che affila la lama nel laccio che unisce l’Europa dell’Est a quella dell’Ovest. Nell’ultimo giovedì di giugno, in quello stadio, il Belpaese ha ritrovato la sua anima di paese meticcio, riconoscendo all’Africa, che scorre nel sangue di Mario Balotelli, tutto il merito di questa vittoria. E sarebbe bello che a Brescia, ad aspettare Super Mario, si ritrovassero in festa abbracciati bresciani e ghanesi: saremmo tutti più italiani.
Orgoglio d’Italia