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John Hooper racconta l’Italia – Come ci guardano dall’estero

Creato il 20 febbraio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

A partire dal XVII secolo l’Italia era divenuta frequentatissima tappa finale del Grand Tour europeo che i giovani figlioli delle aristocratiche famiglie britanniche e, più in generale, nordeuropee intraprendevano al nobile scopo di abbronzare quella loro pallida carnagione normanna al sole della seducente cultura e spirito mediterranei. L’Italia era il più pregiato oggetto da collezione da conquistare e aggiungere alla lista di mirabilia scovati attraverso il lungo viaggio europeo. E quel presente ricco di cultura e arte sarebbe divenuto quel passato di cui oggi la nazione si fa fardello e vanto. Un paese pieno di contraddizioni, dove l’esotismo degli usi e costumi si è trasformato da mirabilium a macchietta.

Il giornalista e scrittore britannico John Hooper, corrispondente dall’Italia per The Economist e editore responsabile dell’area sud-europea per The Guardian, ha recentemente pubblicato il suo ultimo lavoro, The Italians, facendosi affezionato biografo di quelle macchiette dal passato glorioso della nazione in cui da tempo risiede. Affezionato, paternamente comprensivo: è quanto risulterebbe dalle lucide risposte che fornisce alla intervistatrice de The Economist. Quest’ultima, peraltro dall’italianissimo nome di Fiammetta Rocco, sembrerebbe aver perso quello stupore suscitato dai “mirabili” costumi dei presunti suoi antenati italiani quando, con un fare professionalmente divertito dinanzi all’assodatamente divertente, chiede quale sia la situazione della famiglia in Italia, che pregiudizialmente “ruota attorno alla cucina, alla mamma e ai figli che non se ne vanno di casa almeno prima dei 30 anni” (based around the kitchen and the mama and the sons who never leave until they are at least thirty). Ma Hooper non si lascia sedurre dal comodo e rassicurante stereotipo: il suo “ritratto di una nazione” (portrait of a nation), come egli stesso definisce The Italians, vuole proporre il suo personale Grand Tour della penisola e in particolar modo dei suoi abitanti. “Gli italiani sono il prodotto  della notevole peculiarità della loro storia” (Italians are a product of their very peculiar history): un passato glorioso da un lato, dall’altro l’estrema vulnerabilità allo straniero e le fratture interne (in primis quella con il Vaticano, alla cui Chiesa gli italiani rimangono imperterritamente e sorprendentemente fedeli). Fratture equiparabili al movimento separatista catalano forse? La giornalista dell’ Economist si riferisce esplicitamente alla Lega Nord, ma Hooper ribatte con concisa chiarezza: l’Italia è un paese che presenta “diversità, non disunità”. Diversità nell’affastellarsi di dialetti, diversità nel proliferare di economie locali, ma non disunità; la Lega Nord, più che movimento separatista, sembrerebbe anzi trasformarsi in movimento nazionale populista di destra, simile al Fond National francese.

A country of contradictions, “un paese di contraddizioni”: è così che il paese viene definito nella recensione di John Gallagher del libro di Hooper per il Guardian. Gli Italiani sembrano apparire all’occhio straniero sotto il trinomio “furbizia – fantasia – sprezzatura”. “Furbizia” è intraducibile in inglese, almeno per quanto di positivo il termine comporta in italiano: l’inglese cunning o sly non rendono al meglio la più espressiva perifrasi “essere sveglio abbastanza per far ruotare la vita quotidiana a tuo proprio vantaggio” (to be cunny enough to navigate daily life to your own advantage). L’italiana “fantasia”, invece, “dimora da qualche parte sull’indefinito confine tra immaginazione e creatività” (lies somewhere on the permeable frontier between imagination and creativity, scrive Hooper): il bluff dell’esistenza di un Terzo Corpo designato d’Armata durante la Guerra Fredda, che avrebbe fatto desistere i Sovietici dall’avanzamento; l’escamotage del servizio Alter Ego offerto dalla Vodafone italiana, che permette di avere due numeri sulla stessa sim, perfetto per le scappatelle extraconiugali (chissà, forse solo noi ne avevamo bisogno…). E poi c’è la “sprezzatura”, ovvero ciò a cui nel Cinquecento Baldassare Castiglione ne Il Cortegiano si riferiva quando parlava dell’arte di adottare una studiata disinvoltura nei modi di fare. E “sprezzante” sembra essere agli occhi di Hooper “l’ossessione italiana della bella figura – e l’orrore complementare al pensiero di una brutta figura –sita sul confine medesimo tra realtà e rappresentazione (the Italian obsession with bella figura – and the concomitant horror of brutta figura – lies on the same border between reality and representation).

Un paese in cui “persino la verità è negoziabile” (even truth is negotiable), perché non appare come dogma assoluto quanto, piuttosto, come “versione”. E forse tutto si riduce proprio a questo: ogni cultura e ogni controcultura sono i prodotti di un inesorabile relativismo. Noi beviamo il caffè, loro il tè. Eppure, è così affascinante quando un John Hooper ordina un espresso e un Beppe Severgnini sorseggia un English Breakfast.

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