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Jorge Mario Bergoglio, il primo papa con il nome di San Francesco d'Assisi

Creato il 13 marzo 2013 da Pfg1971

Jorge Mario Bergoglio, il primo papa con il nome di San Francesco d'Assisi

Jorge Mario Bergoglio, il primo papa con il nome di San Francesco d'Assisi

Dopo appena un giorno e solo cinque votazioni, il Conclave ha eletto il nuovo papa.

 

Ad aver ottenuto la maggioranza di 77 voti su 115 votanti  è stato Jorge Mario Bergoglio, gesuita, arcivescovo di Buenos Aires e, già nel 2005, rivale progressista di Joseph Ratzinger, dopo l’esaurirsi della candidatura del cardinale Martini.

 

I pronostici di tutti i commentatori davano per certo che se il Conclave fosse stato breve, ad essere eletto sarebbe stato uno dei favoriti della vigilia: Angelo Scola, arcivescovo di Milano, vicino a Comunione e Liberazione e forte di un pacchetto iniziale di circa 30 voti, oppure Odilo Scherer, vescovo di San Paolo, o ancora i due americani Timothy Dolan e Sean O’Malley, un francescano che, per pagare i risarcimenti alle vittime dei preti pedofili, aveva deciso di vendere il suo palazzo apostolico di Boston.

E invece, quando si sono aperte le finestre del balcone della basilica di San Pietro, il mondo ha appreso che il successore di Ratzinger non sarebbe stato nessuno di questi, ma Mario Bergoglio, una scelta inaspettata.

 

Il primo papa (in oltre mille anni, da Gelasio I, tunisino) non solo non italiano, ma anche non europeo, un latinoamericano di origine italiana, ma comunque un uomo, come ha detto lui stesso che i cardinali hanno “preso dall’altra parte del mondo”.

 

Una scelta con cui il collegio dei porporati ha voluto lanciare un messaggio chiaro.

 

Prima di tutto, Bergoglio non appartiene alla Curia romana.

 

E’ un rappresentante di una chiesa nazionale, ben lontana dall’autoreferenzialità e dalla chiusura del mondo curiale vaticano, intriso di scandali mondani come quelli legati alla banca vaticana dello Ior.

 

Scegliere un uomo di tal fatta potrebbe essere interpretato come un primo passo verso il rinnovamento e in direzione del superamento di quella “sporcizia della Chiesa” di cui parlò Ratzinger, non ancora Benedetto XVI, nella via crucis del Colosseo del 2005.

 

Importante sarà anche la scelta che il nuovo papa farà del suo Segretario di Stato.

 

Se sceglierà un italiano, come richiederebbe la necessità di equilibrare l’origine straniera del pontefice, potrebbe essere costretto a farlo scegliendo un curiale.

 

Ma se avrà la forza di nominare un altro non italiano, il messaggio di rigenerazione del Vaticano potrebbe essere ancora più intenso.

 

Non solo, Bergoglio è anche un latinoamericano, espressione quindi di una comunità di cattolici molto grande, ben più consistente di quella europea (nonostante il costante avanzare, soprattutto in Brasile, degli evangelici).

 

Se la scelta è caduta su di lui è perché nell’America meridionale, come in Africa o in Asia,  il cattolicesimo è molto più forte e diffuso che non nel continente europeo, sempre più secolarizzato e che Ratzinger voleva trasformare nella meta di una nuova evangelizzazione.

 

Il continente latinoamericano è stato anche la culla di un vasto tentativo di rinnovamento delle istituzioni cattoliche, quel movimento conosciuto come Teologia della Liberazione, che, tra la fine degli anni ’60 e i ’70, sotto l’influsso del Concilio Vaticano II, voleva ridare all’ecclesia la qualifica di “Chiesa dei poveri”, vicina alle necessità e ai bisogni degli ultimi delle società latinoamericane e non solo.

 

Una ventata di novità che fu ben presto repressa nel sangue di alcuni (penso al vescovo martire Oscar Romero, mai riconosciuto come tale dal Vaticano) e nelle scomuniche di Giovanni Paolo II, coadiuvato dall’allora prefetto dell’ex Santo Uffizio, Joseph Ratzinger.

 

Nell’ottica della Guerra Fredda, l’eccessiva vicinanza di molti esponenti del movimento a postulati marxisti nell’analisi dei bisogni della gente non era accettabile per i vertici cattolici dell’epoca.

 

Bergoglio non ne faceva parte, ma non manifestò segnali di opposizione o contrarietà verso il movimento, come avrebbero fatto invece molti altri prelati argentini dell’epoca.

 

Proprio questo background culturale è alla base della scelta del nome da pontefice: Francesco.

 

Non era mai accaduto che un papa scegliesse il poverello di Assisi come suo nume tutelare (nemmeno nei momenti di peggior contrapposizione con la Riforma protestante di Martin Lutero) e anche in questa mossa è difficile non leggere un segnale di rinnovamento e un vero e proprio indirizzo programmatico da dare al papato.

 

Bergoglio, decidendo di chiamarsi Francesco ha esclamato, forte e chiaro, che sarà sua intenzione imporre uno spirito di sobrietà e di ritorno alla povertà delle origini, per provare ad andare oltre gli scandali finanziari e sessuali e per rinnovare una Chiesa ormai vicina al punto di non ritorno.

 

Già nelle poche parole pronunciate appena eletto, Bergoglio ha voluto evidenziare un simile cambio di passo.

 

In uno slancio di umiltà propria di un uomo che ha scelto di chiamarsi Francesco non solo non ha usato il termine papa, ma ha preferito appellarsi, più semplicemente, vescovo di Roma (al contrario di quanto fecero Wojtyla e Ratzinger) e ha  chiesto a coloro che si trovavano in piazza San Pietro di pregare per la Chiesa e per lui.

 

Una richiesta con cui è sembrato chiedere aiuto e perdono per gli errori dell’istituzione di cui era appena diventato il capo.

 

Un papa che, nello spirito di San Francesco, potrebbe sollevare la Chiesa dal fondo in cui è caduta negli ultimi anni e che potrebbe favorirne un più attento ascolto alle esigenze di una società in continuo mutamento nei suoi costumi e nelle sue componenti essenziali.

 

Bergoglio è un gesuita (questa qualifica potrebbe soddisfare le profezie di quelli che hanno vaticinato un papa nero, dall’abito dei gesuiti, come l’ultimo pontetice) di 77 anni, un papa non giovanissimo, come sembrava dovesse essere alla vigilia e quindi, nell’accezione comune, potrebbe essere di transizione, perché destinato a un papato non molto lungo.

 

Anche Giovanni XXIII ( a cui Bergoglio, per semplicità e schiettezza sembra molto vicino) venne eletto per governare pochi anni, in attesa che maturasse una candidatura forte, come fu poi quella di Paolo VI, ma lasciò un segno indelebile con la decisione di convocare il Concilio Vaticano II, vera fonte di rigenerazione della cattolicità.

 

Anche Bergoglio potrebbe seguire il suo esempio.

 

Perché la Chiesa torni ad essere davvero vicina alla gente, alle loro necessità ed in reale comunione con altre confessioni come l’Islam e l’ebraismo, ha bisogno di riformarsi e ciò è possibile solo con un nuovo Concilio.

 

Chissà che nei prossimi anni, da un papa di nome Francesco, non possa partire l’iniziativa per l’indizione di un nuovo sinodo delle chiesa cristiane con cui cambiare davvero la Chiesa?   

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