In traghetto le piccole corsero dappertutto, salirono e scesero le scale di ferro, si infilarono ogni dove. Insisterono per poter rimanere fuori e farsi aggrovigliare i capelli dal vento. Hannah, glielo concesse, sfinita e rassegnata e rimase sul ponte coperto a guardare il blu e il bianco attraverso le vetrate sporche mentre sua madre, sedutale accanto, sfogliava senza attenzione una rivista trovata su uno dei sedili. Le orecchie le ronzavano per la stanchezza e quel rumore continuo, accompagnato dal brontolio sommesso dei motori del grande ferry, la confortò.
Un piccola vacanza, solo pochi giorni ritagliati al lavoro.
Voleva stare un po’ con la madre, voleva incrociare i suoi occhi azzurri incorniciati dai capelli bianchi, ora cortissimi, voleva trovare il tempo per cercare le parole che non era riuscita ancora a dirle. Aveva pensato che ripercorrere uno dei tanti viaggi fatti con lei e papà, avrebbe potuto aiutare la madre ad arrendersi e concederle di entrare per un attimo nel suo animo lacerato per ricordare con tenerezza il padre. Insieme.
Voleva fare vedere alle figlie il paesaggio di uno degli acquarelli del nonno, che tenevano nel loro soggiorno, e sperava anche di rivedere Juraj, se mai fosse stato ancora lì.
Starigrad, reti dei pescatori
Aveva pensato molto a lui, sorridendo con tenerezza. Aveva l’età di Elsabe quando lei, mamma e papà, andarono nell’isola di Hvar e ci rimasero tanto quanto bastarono i soldi della vendita dei piccoli quadri di papà e le canzoni americane della mamma.
Nella spensieratezza di quei giorni, non aveva fatto che correre su e giù per tutta Starigrad, salendo e scendendo le scalinate in pietra d’Istria, arrampicarsi sui muri per raccogliere i fichi, imparare a pulire i ricci di mare, seguire il ballo perfetto delle mani dei pescatori che rimagliavano le reti, pescare seduta con le gambe a penzoloni nella vasca del castello, guardare gli occhi di Juraj.
Gli aveva promesso di ritornare l’anno successivo e anche quello dopo, e quello dopo ancora. Abbassò gli occhi e soffocò una risata. Se Juraj glielo avesse chiesto, gli avrebbe promesso di stare con lui anche per sempre. Si chiese se Jurai avesse mai capito quella promessa, fatta nel loro linguaggio di gesti e sorrisi e disegni tracciati con le punte delle murici sulle pietre lisce del porto.
Comunque adesso era là e avrebbe potuto mantenere fede alle sue parole.
Quando il traghetto cominciò ad attraccare al porto di Starigrad le bambine la scrollarono dal torpore irrompendo fra i sedili dov’erano sedute lei a la madre e saltellarono sul posto per l’impazienza. Hannah uscì e dal parapetto del traghetto indicò loro la sagoma del castello, portandosi una mano alla fronte, per coprirsi dal sole. Riconobbe a fatica il disegno della città che ricordava come un’enorme U color pesca, accoccolata sul quel golfo al quale suo padre regalava generose pennellate di viola e blu sulla carta cotone.
Uscita dal grande ventre, si diresse verso la città vecchia, passando per una strada che non ricordava, trovando un centro commerciale laddove dai finestrini del furgone, si vedevano solo viti e olivi. Quando però percepì l’odore sottile e pungente di lavanda sentì la madre inspirare a fondo, la guardò, incrociarono gli occhi, si sorrisero.
Passarono quei due giorni a prendere il sole, passeggiare per la città, scorrere le dita sulle collane di conchiglie, inorridire per alcune brutte stampe di quadri. Mangiarono gelati sedute sulle bitte del porticciolo al tintinnio dei bozzelli degli alberi delle barche a vela, si fecero rincorrere da chi offriva piccole crociere intorno all’isola, si spaventarono quando un grosso scorfano aprì improvvisamente la bocca, dentro a una cassetta di polistirolo al mercato. E risero tanto.
Aveva cercato gli occhi di Juraj in un agente di cambio del piccolo ufficio, in uno skipper che stava lanciando i parabordo fuori da un grande motoscafo, in un corpulento meccanico, uscito a fatica da un’apecar. Talvolta s’era guardata attorno, durante le loro passeggiate, ma il dedalo delle calli era oramai inestricabile nei suoi ricordi.
Starigrad - pescheria del Castello
L’ultimo pomeriggio andarono al Tvrdalj. Lì si erano dati appuntamento Juraj e Hannah: sotto le arcate della pescheria del castello. Le bimbe percorsero il porticato di corsa con un braccio teso per toccare tutte le colonne, scesero i tre scalini della vasca e si misero sedute in silenzio, in riga, insieme ad un gatto nero che non si curò minimamente di loro. Tutti e tre guardavano giù, dentro quel rettangolo color lapislazzulo, seguendo con gli occhi le traiettorie dei pesci.
Lei rimase seduta sul muretto, all’ombra degli archi e delle buganville, a osservare il riflesso nell’acqua dei bei visi delle figlie, deformarsi, ondeggiare, allontanarsi e perdersi.
Elsabe si tolse gli zoccoli e mise i piedi nell’acqua, Hannah fece per dirle qualcosa ma sua madre le toccò un braccio.
- Non la rimproverare sempre. Ti assomiglia così tanto. Ti ricordi quando tu perdesti i sandali e tornasti in campeggio, scalza, dopo ore?
- Andiamo! – disse Hannah rivolta verso le bimbe, e incominciarono la strada per rientrare in paese.
Se ricordò in quel momento dei sandali persi.
Quel pomeriggio un vento improvviso scosse i rampicanti che si avvinghiavano fra le antiche pietre della fortezza, una nuvola bianca e vaporosa inghiottì in un sol boccone il sole e si buttò addosso un lacero mantello grigio. Un taglio di lama attraversò per un attimo le nubi colando oro sui muri, ma tutto tornò dopo, piombo liquido. La pioggia, subito forte, le colpì le braccia e le gambe nude. Corsero via di lì.
I sandali slacciati la facevano scivolare sulla scalinata senza parapetto. Il mare schiumava e ribolliva come volesse traboccasse dal un nero calderone del golfo. Juraj correva tenendola per mano e reggendo con l’altra il libro delle fiabe dello zio Dragan.
Saltò una pozzanghera iridescente di gasolio, ma lei scivolò in quell’arcobaleno.
Un sandalo rimase sul lastricato. Juraj girò dentro una calle e poi attraversò un sottoportico. Dietro di loro ruggiva il temporale. I balconi sbattevano, le donne si affrettavano a ritirare le piante e a chiuderli. Un lenzuolo si alzò in volo, sopra i fichi e le pergole.
Svoltò ancora.
Oramai correva scalza.
Starigrad - piazza
La piccola piazza bagnata, lucida, sembrava essere completamente sott’acqua. Le case si riflettevano dentro, con i loro terrazzi, i loro balconi colorati, moltiplicandosi in giochi di simmetria che cambiavano di continuo. Le reti appese ai pergolati si gonfiavano e ricadevano, come vele impazienti di salpare.
Da una finestra al terzo piano, da dietro un balcone verde in fondo al campiello che Hannah e la sua famiglia stavano percorrendo in quel momento, giunse il vivo ricordo di una voce di donna:
- Je kiša! Juraj!
Trovò così la casa di Juraj. Ma la finestra della cucina della nonna Duška era chiusa, dietro quel balcone pericolante sbriciolato dalla salsedine. Non le fu difficile capire che da molti anni quella cucina non odorava più di nocciole, vaniglia, latte e caffè d’orzo che fumava davanti gli occhi appesantendo le ciglia. Il battenti del vecchio portone intagliato erano mangiati dal marcio e dai topi e da dietro filtrava la luce del sole.
La macchina sussultò vistosamente scendendo dalla rampa del traghetto. Quel forte rumore di ferro segnava la fine della vacanza. Ritornavano a casa, in Austria, con le guance rosse e i capelli seccati dal sole.
Elsabe tirò giù il finestrino e come fece all’andata, si sporse fuori dall’abitacolo.
- Ehi, ciao! – urlò sventolando un braccio verso un gruppo di marittimi sulla banchina d’approdo.
- Auf wiedersehen Elsabe! – gli rispose uno di loro, voltandosi verso la loro macchina che oramai se ne stava andando, sollevando la sua mano, grande e affusolata.
- Ti prego, siediti e smettila di dar sempre confidenza agli sconosciuti! – la rimproverò seccata e preoccupata la madre.
- Non è uno sconosciuto – reclamò la bambina.
- Ma se non sai nemmeno come si chiama! – tagliò corto la madre senza convinzione.
- Yury le ha detto che finalmente era tornata la sua amichetta di quando era piccolo e Elsabe si è innamorata di lui perché ha gli occhi verdi! – la canzonò la sorella maggiore.
Elsabe assestò una pedata alla sorella con i suoi piedi scalzi e si imbronciò.
- Si chiama Juraj – borbottò impercettibilmente verso il finestrino, e nessun altro la sentì.