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L'Allen che mi piace

Da Dallenebbiemantovane

L'Allen che mi piace

 

Sento giudizi contrastanti su Midnight in Paris (Usa-Francia 2011, commedia), ma devo dire che nel mosciume generale dell’ultima produzione di Woody Allen questo è uno dei suoi prodotti più riusciti.

Non un capolavoro, chiaro, e chi dissente vada pure al post del 21 ottobre 2011.

Due difetti sono fastidiosi: la scelta di un poco carismatico Owen Wilson come protagonista, costretto inoltre dal regista a balbettare come tutti i suoi alter ego cinematografici; e la stucchevole serie di cartoline dell’incipit, cinque minuti vacui che ricordano tragicamente l’intervallo della Rai negli anni Settanta, quello con le pecorelle, i templi e la musichetta all’arpa. Troppa fissità, così come troppe carrellate da turista nelle scene diurne, compresa la gita a Versailles o quella alla casa di Monet.

 

E purtroppo nemmeno la sceneggiatura brilla per la comicità dei dialoghi, con molte occasioni mancate (es. Gil che passa a un perplesso Buñuel l’idea di base per L’angelo sterminatore; gli inconcludenti siparietti tra Gil e Paul).

Tuttavia l’idea di fondo (sognatori in fuga che si trovano meglio in qualunque epoca passata che non sia la loro) è bella. Il regista l’aveva già sviluppata altrove (gli amati anni ‘20 di Zelig, La rosa purpurea del Cairo e Accordi e disaccordi, i ‘40 di Pallottole su Broadway, Stardust memories, fino allo specchio magico di Ombre e nebbia...), ma qui il delizioso espediente dell’auto d’epoca che ogni notte, solo a mezzanotte, passa a raccogliere il viandante del tempo e lo porta tra i suoi idoli degli anni 20, jazz e champagne, basta da solo, senza troppi effetti speciali, a segnare tutta la distanza esistente tra l’epoca idealizzata dal protagonista e la dolorosa volgarità in cui si trova a vivere.

Certo, si potrebbe obiettare che fidanzata shoppingmaniaca e futuri suoceri repubblicani (di quelli per cui chiunque professi idee diverse è "un comunista" a prescindere), per non dire dell’insulso amico sapientone di lei, sono quanto di più insopportabile un umano possa ritrovarsi a fronteggiare nella vita, al punto che Allen è riuscito a rendere odiosa persino la bellissima ed espressiva Rachel McAdams.

 

Ma è altrettanto chiaro che quando uno si trova coinvolto dalle musiche di Cole Porter (suonate e cantate da Cole Porter), dal meglio della letteratura americana tra le due guerre e dal fascino avvolgente – non mi viene un altro aggettivo – di Marion Cotillard, la scelta, non solo estetica ma etica (e le due cose spesso coincidono per un artista) è indubbia.

Non solo, ma mi è sembrato perfettamente coerente ambientare un film pieno di sberleffi surrealisti tra gli artisti delle avanguardie parigine, che nei surrealisti ebbero una delle loro vene più ricche.

Soltanto che – colpo di genio – il nostro non decide di rimanere nel passato, pur avendone la possibilità, perché ha finalmente intuito che il passato, per chi ha l’occasione di riviverlo, è solo una caricatura di se stesso: Hemingway e il Dalì di Adrien Brody sono particolarmente spassosi sotto questo aspetto, ma anche la Bates nei panni di Gertrude Stein più di tanto non può fare.

 

Confesso che mi sono sentita toccata e scoperta nella mia personale infatuazione per quegli anni irripetibili. Io stessa, mesi fa su Anobii, facendo un gioco in un gruppo di discussione, avevo immaginato un mio viaggio nel tempo ai Deux Magots dove cercavo invano di conversare con Scott e Zelda e Ernie e Hadley e Pauline, solo che il primo era rotolato ubriaco sotto il tavolo, la seconda era in preda a una crisi isterica, il terzo parlava solo di boxe e le sue due donne si stavano prendendo per i capelli.

Insomma Woody stavolta sei tu che hai copiato me, ammettilo!

 

Ma il film volge al termine: dobbiamo lasciar andare  la nebulosa Adriana, a sua volta infatuata della Belle Époque. Ci tocca vivere nel presente, e ascoltare Cole Porter su vecchi dischi, quelli amorevolmente conservati per noi da una dolce fanciulla francese che veste alla francese, pensa alla francese, ama le passeggiate romantiche sotto la pioggia e insomma – si suppone – peggiore della nostra fidanzata di Malibu non potrà essere.

P.S.: la visione può risultare fastidiosa per gli urletti di stupore del pubblico bue a) quando riconosce Carla Bruni; b) quando riconosce qualche scrittore sentito nominare alle superiori e mai più letto.


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