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Certe volte il cinema contemporaneo francese, nonostante sia il portabandiera di quello europeo, mi lascia parecchio perplesso. Sarò io a non capirlo o a non essere sufficientemente erudito per afferrarlo, sta di fatto che sovente mi è capitato di sbadigliare guardando recenti film d’oltralpe a causa di una certa vacuità di fondo. Pur non trattandosi di pellicole aride ciò che mi viene da rimarcare è la maniera in cui vengono proposte che diluisce pian piano fino a perdere il proprio concentrato.
Parlando di Una relazione privata (1999) Pino Farinotti dice “atmosfere francesi che piacciono solo ai francesi”. Ecco, non ho ben chiaro che cosa il critico intenda, ma la sensazione è che abbia più di un po’ di ragione.
La moustache (2005) è infatti il paradigma di ciò che vado dicendo; un film rarefatto, molle, pallido. Eppure il tema portante non sarebbe male, anzi non sarebbe male proprio l’impostazione generale dell’opera che almeno sulla carta ha del potenziale riprendendo uno dei grandi quesiti che ogni tanto si riaffacciano nel cinema e nella letteratura: chi è il pazzo? Il protagonista o chi gli sta attorno?
Domande che non avranno risposte poiché Emmanuel Carrère non pare interessato a darle, e ciò mi può andare andare anche bene, tuttavia credevo che la scena principale l’avrebbe conquistata il progressivo sgretolamento di una vita e di un amore – il titolo italiano, sbagliando, punta molto sulla questione sentimentale che a mio avviso è invece solo un tassello del mosaico generale –, dando così peso all’argomento maggiormente sotterraneo. Questo non accade vista l’aria anestetizzante soffiata sulla pellicola che impedisce due cose allo spettatore: di poter credere alle parole di Marc o a quelle della moglie e di assistere ad un’ipotetica ricostruzione del quadro capace di ribaltare le congetture fatte a proposito. Giustappunto proprio nel passaggio ad un’altra location come Hong Kong che avrebbe dovuto e potuto dipanare la matassa o, perché no, ingarbugliarla del tutto, il film si smarrisce come il suo protagonista sminuendo un’ora e venti di girato ad un’allucinazione o a una stupidata simile.
L’amore sospetto è un’opera che raccontando di un’apparenza (i baffi che ci sono/non ci sono), finisce paradossalmente per incarnarne l’essenza (quello che vorrebbe essere non è).
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