La maxi-inchiesta della ‘ndrangheta lombarda è ancora segretissima , quando una squadra di carabinieri riesce a nascondere una telecamera di fronte alla villa di un capoclan. La missione è difficile : l’inquisito per mafia , ufficialmente imprenditore , è molto guardingo , si circonda di collaboratori – sentinelle e abita nella popolosissima Brianza , dove è difficile passare inosservati. Per giorni i militari si fingono operai al lavoro per strada e piazzano la telecamera in cima al lampione.
Il 20 gennaio 2009 le immagini cominciano ad essere registrate. Ma dopo solo sei giorni l’inchiesta viene bruciata. Un complice avverte di aver ricevuto un’ambasciata dallo sbirro. Una soffiata che segnala l’inquadratura precisa che arriva sul monitor dei militari. Un traditore all’interno all’arma dove colleghi onesti muoiono per mille euro al mese. Un anno e mezzo dopo la storica retata tra Calabria e Milano , che portò a 300 arresti, finirono in manette anche i boss brianzoli.
La talpa è tuttora senza nome. L’Espresso ha raccontato come l’emissario della cosiddetta P3 cercò di carpire informazioni sull’inchiesta contro la ‘ndrangheta e se fossero indagati 5 politici del Pdl lombardo. L’emissario riferì che fu mandato da Roberto Formigoni , con cui aveva rapporti diretti. Dei cinque, il più vicino ai boss era Massimo Ponzoni, però anche gli altri 4 erano citati nelle intercettazioni antimafia. Come faceva a sapere l’emissario quali politici comparivano in atti giudiziari top secret?
Ci sono talpe della ‘ndrangheta dappertutto. Tra le tante perfino un militare in servizio alla Direzione distrettuale antimafia di Milano, ossia negli uffici della Procura. Una talpa mai smascherata, ma attiva fino al 2009, che avvertiva i complici sulle strategie dei militari.
I Pm milanesi riescono a capire che nella loro inchiesta si è infiltrata una talpa , quando intercettando gli affiliati si partla di una seconda talpa “Michele, il carabiniere di Rho che ci passava sulle intercettazioni in cambio della mancia”. A Rho l’inchiesta travolge 4 carabinieri accusati di corruzione. Michele, all’anagrafe Berlingieri, viene arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa. A incastrarlo è un video di un omicidio : il figlio di un bosso calabrese ammazza a colpi di pistola un albanese in un bar, il carabiniere entra prima dei colleghi e risistema i bossoli per truccare la scena del delitto. Quando il killer passa la pistola ad un complice, lui lo lascia uscire indisturbato. Poi stringe la mano al padre dell’assassino.
Dalle stesse indagini si scoprono blitz antidroga per togliere di mezzo gli spacciatori concorrenti della ‘ndrangheta. Operai dell’Anas che avvertono i boss su telecamere sulla statale, Sfasciacarrozze mai controllati dalle forze dell’ordine, e che aveva un arsenale da guerra della ‘ndrangheta.
Ma le talpe ci sono in tutte le procure. Paolo Martini, boss reggino con interessi tra politica e discoteche a Milano , prima dell’arresto si trova una microspia in macchina. Chiama sua sorella , religiosa delle Paoline nonché vicedirettore sanitario dell’Ospedale di Albano Laziale , e gli chiede di indagare. Tre settimane dopo la “suor Talpa” lo avverte di un pentito che sta a “cantà”.A Lurago D’Elba il comandante della polizia municipale controlla le targhe delle auto dell’antimafia e le riferisce ai boss. Mentre un maresciallo non identificato avverte il padrino di Pioltello di non girare in Bmw perché è stata piazzata una cimice.
Con le talpe la ‘ndrangheta sembra seguire un codice. Ogni boss protegge l'identità dei suoi informatori , un tesoro da nascondere anche con i complici. Ogni boss quindi decide quale amico salvare e quale far arrestare. L’arresto più clamoroso è quello di Giovanni Zumbo , ex custode giudiziario di immobili e società sequestrate alla mafia calabrese, nonché collaboratore del Sismi dal 2004 al 2006. Nel 2010 Zumbo , accompagnato da un mafioso, viene intercettato mentre racconta a un superlatitante tutti i particolari della maxi-inchiesta ancora top-secret.
Zumbo viene rinviato a giudizio anche per le armi e l’esplosivo fatti ritrovare a Reggio nel gennaio 2010 , nel giorno della visita del Presidente della Repubblica. Vuole accreditarsi come confidente della nuova guardia dei magistrati. Ordinandone la cattura , i giudici avvertono che Zumbo si era messo a disposizione dei mafiosi “perché incaricato da qualcuno, interessato a entrare in rapporto con i boss a costo di vanificare le più importanti indagini dei carabinieri contro la ‘ndrangheta”. Quindi c’è un Puparo. Dopo un anno di carcere duro Zumbo ha parlato una sola volta con i magistrati , ripetendo lo sfogo che aveva confidato a un ufficiale dei carabinieri fin dal giorno dell’arresto “Se mi pento io, succede un terremoto”. Zumbo rifiuta di dare il nome del Puparo in divisa.