da qualche settimana mi sono appassionato alle storie, molti libri sono nati da piccoli racconti; qui a Failcaffè voglio pubblicarne una nuova.
C’è qualcosa di più stancante per un anonimo signore che rotola verso l’epilogo della sua lunga giornata, di un gelataio nano che in metropolitana lamenta insistentemente il suo travagliato faticare, con una voce che raschia il silenzio fino agli angoli più alti dei vagoni? C’è e si chiama globalizzazione.
Per spiegare la globalizzazione al bimbo lettore basta fargli un semplice esempio:
Quando faccio dei lunghi viaggi in autobus trovo sempre, lontana da me al massimo un paio di file, consistente una donna centro-africana che ha appena rinnovato la sua promozione telefonica. Duemila minuti liberi di viaggiare dallo stivale verso l’equatore interamente attraverso le mie dannatissime orecchie che, a capirci qualcosa di quella lingua, ci sarebbe da appassionarsi a tutte quante quelle incontrate in anni di trasporti gommati; di pomeriggio come di notte, alle soste in autogrill e durante il viaggio.
Un giorno qualcuno, lo stesso stronzo che ha ideato lo slogan “Vivere senza confini”, pagherà caro il prezzo addebitato da quella donna ai mal di testa di troppi passeggeri.
Vicino l’anonimo signore, al di là dei finestrini è buio. in verità neanche dentro si vede così bene; c’è della luce che fioca dal neon quasi aggrappato al soffitto del vagone, sul vuoto lasciato dai passeggeri alle fermate precedenti. le ultime stazioni della metropolitana collezionano un’aria già usata che costringe i pochi destinati verso il capolinea a desiderare di scendere prima del dovuto, prima che quelle ultime tre fermate possano regalare un senso di nausea utile a diventare intrattabili. eccomi lì, quasi solo con due buste della spesa e un cono gelato in mano.
è già Settembre, è successo senza che nessuno se ne fosse accorto, tantomeno io.
la gente sembra non voler rinunciare alle dolci abitudini di un’estate che, se non porta il mare a Torino, almeno culla la loro immaginazione fra biciclette e vestitini svolazzanti.
Anche il mio ricordo non è più sottoterra ma a molti chilometri, lontano dal vagone che conduce alla stazione.
Ogni venerdì sera, mi concedo una sigaretta comodamente seduto sulle panchine che precedono il susseguire ordinato dei binari. il tabacco fumato senza il filtro mi ripresenta delle immagini che per il resto della settimana sono fuori città a causa di vari impegni. a metà fra il pensieroso e il pervertito, mi piace guardare le facce di quelli che sono appena scesi dalle carrozze con i loro trolley, di quelli che hanno contato gli attimi che li separavano dall’uso dell’accendino, di quelli che non sanno dove cavolo sia via Mazzini; questo è il mio modo di incontrare nuovamente un vecchio amico.
Sapete, quelle persone che avete conosciuto perchè la vita certe volte ve le fa incontrare, loro sono rimaste per un po’ e poi senza un motivo sono sparite, complice quella stessa vita che a volte ve le fa perdere.
Era estate, Oronzo ed io siedevamo ogni dopo-pranzo su una panchina di legno nel retro del bar, fumavamo le sigarette senza filtro che lui aveva la gentilezza di comporre; per tutto il turno mi capitava di parlarci di lavoro, ragazze, vita, ma durante quei due minuti fermi all’ombra del sole non dicevamo una parola, aspettavamo in silenzio.il sudore sui vestiti, il deserto delle tre quando tutti sono dietro le tapparelle semi abbassate, l’attesa di qualcosa. Quello che ancora oggi mi manca durante il trascorrere sono quei due minuti da seduto, in silenzio, nel mezzo di un deserto con un po’ di tabacco. ci sono sempre troppe parole da dire e alla lunga va a finire che il cervello non respira più come dovrebbe.
Ecco amico mio dove il ricordo ti ha lasciato: stretto fra i pensieri, le preoccupazioni di una vita ed il chiaro sapore della Corona che bevevamo alla faccia della sfiga. Come ogni venerdì anche oggi sono qui, presente. Certo sono solo le 19 ma i venerdì pomeriggio di settembre sono già abbastanza malinconici senza aspettare che anche le luci della stazione centrale ci mettano del loro.