Elogio del turpiloquio. Letteratura, politica e parolacce
a cura di Romolo Giovanni Capuano
Nuovi Equlibri, 2010
Ecco un post che si potrebbe cominciare con un bel porco d’un cane, ma non sarebbe chic, perché il turpiloquio, pure lui, non manca d’una certa etichetta. Lo veniamo a sapere leggendo “Elogio del turpiloquio – Letteratura, politica e parolacce” a cura di Romolo Giovanni Capuano.
Mi sono accostata con un sorriso a questo tomo di dimensioni da viaggio, un libro comodo da tenere in borsa. Sfogliato in una qualunque sala d’aspetto vi regalerà la grinta di chi è sempre ben lieto d’attaccare briga: “dimmi qualcosa di storto e ti gonfio a parole”. La parte più interessante della lettura è senza dubbio l’introduzione, lì si cela il messaggio. Nelle pagine “Sull’utilità delle brutte parole” veniamo messi a parte di quanto il nostro lessico da scaricatori di porto abbia radici profonde e salvifiche. Questo mi ha rincuorato, magari sul web non sembra, ma “live” maneggio un vocabolario piuttosto colorito, ricco di sfumature dialettali e condito da inenarrabili nefandezze. Fossi ragazzina si potrebbe pensare che “voglio darmi un tono”, ma ormai galoppo verso i quaranta, e più che un tono mi ci vorrebbe un lifting: e le parolacce questo miracolo non lo fanno. Però ne fanno altri!
Come recita la quarta di copertina (ma non fermatevi a quella, aprite il libro!), scopriamo che le parolacce sanano l’economia di una nazione, tengono lontano il male, giovano alla salute, rinfrancano lo spirito, ci forniscono informazioni preziose sui misteri del sesso e della struttura della società. Insomma, le parolacce servono!
Ovviamente non vorrei che ora vi sentiste obbligati a scordare scuole di dizione, elementari fatte dalle suore, lunghi anni in veste di chierichetto… l’abuso delle parolacce toglie loro quell’aspetto salvifico di cui si diceva. Perché ogni eccesso è sintomo di mancanza di fantasia, e anche nel turpiloquio la fantasia serve. L’Emilia Romagna è terra ricca di modi di dire piuttosto discutibili, non vi narrerò di quelli più usati nella mia zona, sappiate solo che anche i soprannomi (“scotnài”) delle famiglie sono difficilmente ripetibili in rete. A lungo andare diventano informazioni locali e sintomo d’appartenenza ad un gruppo specifico, perdendo così il valore di turpiloquio. Questo non vuol dire che ci si debba abituare all’uso e abuso delle parolacce sullo schermo tv o sulla carta stampata, così come non spezzerei alcuna lancia (se non in fronte!) a favore di quegli autori che infilano parolacce random nei propri libri. Può essere che molti personaggi abbiano letto “Elogio del turpiloquio” e ne abbiano fatto una bandiera, ma un breve sondaggio tra gli amici con cui solitamente passo le serate, mi fa ben capire una cosa: non tutti usano santi e beati al posto delle virgole. Sfatiamo il mito, non tutti i “cattivi” sono dediti alla teoria del “porco cane”, così come i “buoni” non sempre parlano in rima baciata.
Io, ad esempio, sono buona come il pane… ma sapeste che razza di parolacce mi invento! (Sul “buona come il pane” potremmo anche disquisire, ma non sul web, mi levereste il piacere del turpiloquio).
All’interno di questo libro troverete eloquenti esempi di parolacce: I Fioretti di San Francesco (strano ma vero!), Saggio sulle bolle inglesi del Sig. Thomas Hope e Lo spogliatoio della signora (assolutamente imperdibile!) di Jonathan Swift, La battaglia per l’evoluzione della lingua di Lev Tolstoj, I Miserabili di Victor Hugo, Fallo! Scenari della Rivoluzione di Jerry Rubin, La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo di Laurence Sterne, Incendio, carestia e carneficina. Prefazione apologetica di Samuel Taylor Coleridge. Ogni scritto è stato selezionato in base a quanto spiega la quarta di copertina.
Un libercolo assai poco natalizio, non regalatelo alla zia beghina, o magari sì… e poi mandatela sonoramente a quel paese!