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L’eroismo al femminile

Creato il 02 dicembre 2011 da Controcornice

 

Posted on 2 dicembre 2011 by L’eroismo al femminile o l’altruismo

Siamo abituati all’idea di eroismo al maschile. Uomini prodi e coraggiosi che rischiano e, a volte, perdono la propria vita per proteggere la patria, gli ideali in cui credono, la propria comunità. Meno conosciuto è l’eroismo al femminile. Di solito è legato alla cura, al martirio perciò più vicino alla santità che non all’eroismo. La differenza di genere quindi esiste anche in questo campo oppure è solo una

L’eroismo al femminile o l’altruismo
questione di marketing di immagine? Ovvero, gli uomini sono naturalmente predisposti ai gesti eroici e le donne ai gesti altruistici, oppure l’eroismo maschile ha solo più risonanza di quello femminile, perché meglio pubblicizzato? Si pensi ai libri di storia, alle targhe, ai nomi delle strade dedicati a eroi di guerra,  alle statue per le città, alle cerimonie per la consegna di medaglie al valore: quante donne hanno avuto, nella vostra memoria, simili onori?

Sto scoprendo, invece, storie di eroismo al femminile che meritano le luci della ribalta e l’attenzione di tutti, tanto quanto quelle maschili. Solo che le donne anche in questo campo non sanno “vendersi”… e restano nell’ombra, fino a quando, per caso, non vengono scoperte le loro gesta.

E’il caso di una storia poco conosciuta – una pagina di storia e di vero eroismo resuscitata dall'oblio – che ho scoperto per una mera casualità.

La ventinovenne Irena Sendler era un'assistente sociale a Varsavia quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Ancora prima della costruzione del Ghetto di Varsavia (1940) iniziò a fornire documenti falsi ed a reclutare famiglie ed istituti per ospitare in incognito bambini ebrei: a lei erano chiare già da allora le conseguenze delle politiche razziali della Germania di Hitler.  

Possedeva un lasciapassare per entrare nel Ghetto di Varsavia, in quanto operatrice ufficiale del Dipartimento contro le malattie contagiose. La sua libertà di muoversi dentro le mura del Ghetto le permetteva di convincere i genitori dei bambini a farli uscire dalla prigionia del Ghetto e a farli vivere presso istituti religiosi e famiglie amiche con una nuova identità. Il concetto era di evitare perlomeno ai bambini gli stenti del Ghetto e di riunirli con i loro genitori nel futuro.
L'organizzazione clandestina ZEGOTA aiutò Irena Sendler nell'esecuzione di questo piano. C'era la necessità di reclutare fidate famiglie per i bambini, si dovevano procurare documenti falsi e – soprattutto – si doveva organizzare l'evasione dei bambini dal Ghetto.

Diversi metodi furono escogitati e messi in opera: alcuni bambini venivano nascosti dentro le ambulanze che uscivano dal Ghetto insieme a Irena Sendler, lei stessa li nascondeva in borsoni e valigie (non veniva perquisita a fondo in quanto si sapeva che lavorava a contatto con malattie contagiose), si utilizzavano cunicoli segreti e le possibilità che offriva il grande Palazzo di Giustizia, che era situato come un'enclave nel mezzo del Ghetto di Varsavia.

I circa 1000 bambini fatti così scappare si sono uniti ai circa 1500 a cui fu cambiata l'identità prima della costruzione del Ghetto. Le nuove identità erano necessarie per celare i nomi ebrei dei bambini e anche per evitare ripercussioni sui loro parenti qualora fossero stati scoperti.

Irena Sendler scriveva, aggiornava e manteneva le liste dei nomi veri e di quelli nuovi. Sapendo di dover proteggere queste liste dalla scoperta da parte dei nazisti sia per poterle poi utilizzare per la riunione dei bambini a guerra conclusa, le pose dentro a dei vasetti vuoti di marmellata e le sotterrò sotto un albero di mele in un giardino di conoscenti a Varsavia. La vita futura di questi bambini era legata a queste liste nascoste nei vasetti.
La difficoltà maggiore fu quella di convincere i genitori ad affidare i bambini a lei ed all'organizzazione clandestina ZEGOTA. Anche il fatto che Irena fosse cattolica e che i bambini fossero ospitati in conventi, orfanotrofi o famiglie polacche cattoliche era motivo di apprensione per i genitori. Le notizie sulla sorte degli ebrei e il peggioramento delle condizioni di vita nel Ghetto aiutarono Irena Sendler in questa impresa. Anche i bambini stessi a volte creavano – senza saperlo – motivi di apprensione. «Quante mamme posso cambiare?» le chiese una volta un bimbo, che fu costretto a cambiare la famiglia ospitante.
Il 20 ottobre 1943 Irena Sendler venne arrestata. La portata dei suoi «crimini» venne scoperta soltanto in parte dai suoi aguzzini. Lei non nominò i suoi collaboratori e non rivelò mai il nascondiglio delle liste dei bambini nonostante la sua abitazione fosse stata perquisita a fondo. Neanche la tortura le fece cambiare opinione: le vennero fratturate le gambe. Irena Sendler rimase per il resto della sua vita claudicante e bisognosa dell'aiuto del bastone per camminare. Le liste dei bambini nascoste nei vasetti interrati rimasero sicure. Infine venne condannata a morte.

L'organizzazione ZEGOTA – a sua insaputa – corruppe con soldi l'ufficiale che doveva ucciderla e che la aiutò a fuggire. Lei stessa visse fino alla fine della guerra in clandestinità e lesse la notizia della sua morte nei volantini affissi a Varsavia. La vita della maggior parte dei genitori finì a Treblinka. Dei 450.000 ebrei rinchiusi nel Ghetto soltanto circa 1.000 sopravvissero all'Olocausto. I pochi genitori rimasti furono riuniti con i loro bambini dopo la guerra utilizzando le liste nascoste nei vasetti di marmellata.
Irena Sendler morì a 98 anni il 12 maggio 2008.

 


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