Accidenti, quest’anno mi è proprio sfuggito! Mi sono dimenticata che l’11 era San Martino, anche se le temperature miti delle scorse settimane avrebbero dovuto ricordarmi che era la nostra Estate Indiana.
In famiglia l’abbiamo sempre festeggiato con le caldarroste, le castagne bollite, qualche volta coi “peladei” e con dolcetti vari.
Tanti anni fa organizzavamo degli allegri dopocena col vino nuovo Bardolino e i marroni di San Zeno, quelli della Comunità Montana del Monte Baldo, dove il castagno viene coltivato già dal Medioevo tra il Lago di Garda e la Valle dell’Adige, però anche se ultimamente la “festa di San Martino” è diventata esclusivamente un piccolo assaggio di castagne senza l’accompagnamento del vino rosso Novello delle nostre parti (l’equivalente dell’acclamatissimo Beaujolais), mi dispiace proprio averla saltata.
Ho cercato di rimediare facendo il castagnaccio. In ritardo.
Non so se vale lo stesso.
Questo è il modo “moderno” per preparare il castagnaccio, che in dialetto Veronese si chiama “bole” e non c’è da preoccuparsi se vi sembrerà all’inizio eccessivamente liquido, è il segreto perché riesca morbido e cremoso, mai stopposo:
- piano piano si stemperano 1/2 chilo di farina di castagne, 1 cucchiaino raso di sale e 100 gr di zucchero con 3/4 di litro d’acqua e 3/4 di latte, senza fare grumi;
- si versa questo composto molto liquido in una teglia rettangolare (quella per le lasagne al forno per intenderci) unta con 4 cucchiai d’olio;
- si distribuiscono sulla superficie 50 gr di pinoli e 100 gr di uvette precedentemente ammollate;
- si inforna a 180 gradi orientativamente per 1 ora. Come indicazione posso dire che la cottura è perfetta quando sulla superficie della bole appaiono le caratteristiche crepe che si notano anche nella fotografia.
La mia mamma mi raccontava che quand’era ragazzina, all’uscita dalla scuola con 10 centesimi poteva comperare da un carrettino che stazionava lì davanti una fetta di bole (quella vera, povera e antica: senza latte, uvette e pinoli).
La più grande soddisfazione consisteva nell’ottenere che il venditore nel cartoccio ne aggiungesse anche un pezzettino in più in regalo, la “zonta”.
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