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L’eterologa e lo scambio di embrioni: ecco il far west

Creato il 01 maggio 2014 da Uccronline

Fecondazione embrioniA poche ore dalla decisione della Corte Costituzionale di rendere incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, la realtà ha messo davanti a tutti le conseguenze di tale novità. Riassumibili in una sola parola: far west.

Giustamente qualcuno spiega che “l’Italia capì l’eterologa” dopo il noto e drammatico scambio di embrioni all’Ospedale Pertini di Roma che ha portato una donna ad avere in grembo due gemellini non suoi. Si, perché si è trattato di fatto di un caso di eterologa, anche senza il consenso dei “genitori”.

I quotidiani stanno da giorni raccontando i litigi tra le coppie per chi ha l’effettiva “proprietà” di questi poveri bambini, già offesi dalla vita per essere nati artificialmente al posto che da un atto di amore, e che rischiano di essere abortiti -dunque uccisi-, doppiamente vittime innocenti di un gioco tra adulti nel “voler fare” Dio. Se questa scelta sarà presa, secondo Isabella Bossi Fedrigotti, «soltanto perché un giorno non assomiglieranno né a al papà né alla mamma, sembrerebbe una decisione fortemente antieconomica». Antieconomica? Tutto qui?

Nessuno è riuscito a fare un passo indietro e osservare dove ci sta portando l’ideologia dei “nuovi diritti” e la supremazia della tecnica sull’etica. Non è solo un “errore tecnico” (che potrebbe moltiplicarsi e che è già avvenuto in passato), ha spiegato Eleonora Porcu, che dirige il Centro di infertilità e procreazione medicalmente assistita del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, ma uno dei tanti errori che capiteranno inevitabilmente nei centri dove avverrà l’eterologa, così come accade all’estero (dove gli ospedali sono sommersi di denunce). Oltre al fatto, spiega la Porcu, che «l’eterologa è un modo di pianificare a tavolino una violazione di un diritto fondamentale dell’uomo: conoscere le proprie origini genetiche». In Inghilterra un altro caso fa discutere: due donne lesbiche si stanno contendendo in tribunale due bambine prodotte con l’eterologa. I giudici inglesi hanno commentato: «l’infanzia dura poco ed è davvero triste vedere che la loro sta volando via mentre tutte le energie sono impiegate dagli adulti per litigare tra di loro»

Incisiva la riflessione di Tommaso Scandroglio: «La parola più spesa in queste ore a commento della vicenda è “malasanità”. A noi viene da sostituirla con “malvagità”. Se si decide, così come permette la legge 40, di trattare la persona umana come un prodotto e quindi di compiere un’azione malvagia, come poi stupirsi che qualcuno commetta qualche grossolano errore nello “stoccaggio” del prodotto? La manipolazione dell’embrione porta con sé tutti quegli errori fisiologici propri della manipolazione. L’artificio va a braccetto con la fallacia, marchio di fabbrica dell’homo sapiens ma pur sempre errans».

Anche Francesco D’Agostino, professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, ha saputo affrontare il cuore della questione, che non è il tema della sicurezza delle norme o la tracciabilità dell’embrione. Ma «la verità delle cose è che la procreazione assistita non è terapia, ma artificio; realizza sì il desiderio genitoriale, ma col sacrificio di un numero spropositato di vite umane embrionali, create appositamente in provetta; altera i vincoli familiari, moltiplicando le figure genitoriali e creando dissociazioni inquietanti, come quelle tra genitori biologici e genitori sociali; fa venire al mondo esseri umani per i quali la domanda identitaria fondamentale (“di chi sono figlio?”) può arrivare a non avere risposta alcuna. Il tutto supportato dalla speciosa giustificazione secondo la quale i figli non sarebbero di chi li procrea, ma di chi li ama e li alleva: se così fosse, basterebbe una dichiarazione solenne del tipo “non amo più mio figlio e non voglio più prendermi cura di lui” per rimuovere, alterare o cancellare del tutto (anche giuridicamente) i vincoli interpersonali generazionali».

La verità, ha quindi concluso il giurista, «è che, fondandosi sul sistematico occultamento della verità generativa, la procreazione artificiale fa violenza a tutte le persone coinvolte in queste procedure (come sembra che il legislatore abbia, sia pur indirettamente intuito, quando ha riconosciuto nell’art. 16 della legge 40 il diritto all’obiezione di coscienza a favore del personale sanitario). È da qui che bisogna ripartire, se si ritiene (ma come non ritenerlo?) che una società che arriva a togliere senso all’etica è molto più che una società malata: è una società che cammina a grandi passi verso la propria auto-dissoluzione».

La redazione


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