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La visita di papa Benedetto alla sinagoga di Roma e le relative polemiche mi ha fatto riflettere sulla religione. Le persecuzioni della Chiesa nei confronti degli ebrei in secoli e secoli di storia dovrebbe farci riflettere sui nostri pilastri d'argilla. Senza scomodare Marx, Feuerbach o Russell, si può affermare guardando il nostro passato ed il nostro presente come la religione sia sempre stata nel mondo motivo d'odio e conflitto. E' paradossale come le religioni monoteiste proclamino l'amore portando la guerra. Ho molti amici e molte amiche che sono veramente credenti e, uscendo da messa, non vogliono bruciare nessuno zingaro: loro mi dicono e diranno che è l'uomo che sbaglia e non la religione o Dio. Penso anch'io che il motivo reale di guerre e persecuzioni sia e sia stato soprattutto economico e non religioso ma la religione è sempre stata il movente più utilizzato.
La religione è l'oppio dei popoli usato dal potere temporale per governare le masse. Ebrei, cristiani e mussulmani si ammazzano da secoli per voler imporre il proprio potere sul vicino. Possiamo risolvere la questione affermando che la colpa è negli uomini e non della religione in sè? Quando la religione diviene espressione colletiva di una società e ad essa viene affidato un compito fondamentale per l'organizzazione sociale essa diventa un'arma politica potente. La società occidentale ha avuto la forza di dividere la religione dal potere politico e l'ha fatto sui cadaveri di milioni di persone. Nella storia ideologie atee hanno avuto la colpa di diventare religione anch'esse: una sorta di culto della ateismo (basti pensare al culto della ragione, post rivoluzione francese). L'uomo è portato naturalmente verso società basate sul credere? Dobbiamo per forza credere in qualcosa di metafisico per vivere nella dura materia?
Sto spostando il discorso da alcuni semplici ragionamenti sociologici e filosofici ad una lettura antropologica delle religioni. Non mi interessa qui dare una spiegazione antropologica o biologica all'esistenza di Dio, una spiegazione à la Richard Dawkins.
Ho intitolato questo post "l'insostenibile leggerezza del credere" perché penso fondamentalmente che ogni forma di teismo sia la strada più comoda; comodo non significa semplice e non voglio smentire il rasoio di Occam (la spiegazione più semplice è la più preferibile) che condivido pienamente. Credere è come la morfina per il pensiero. Pensare a Dio permette di accettare il caos del reale con l'ordine del divino. E' più facile accettare di essere polvere e ossa o di vivere in eterno in paradiso? Penso la seconda. La religione ha sempre avuto successo non solo perché conviene alle chiese e agli uomini di fede ma anche perché riesce a consolare il popolo.
Un ultimo punto mi è particolarmente caro perché ha implicazioni politiche e filosofiche molto importanti. Esiste una morale senza Dio? Non solo esiste ma è fondamentale per l'esistenza delle società liberali. Eugenio Lecaldano scrive: "non solo non è vero che senza Dio non può darsi l’etica, ma anzi è solo mettendo da parte Dio che si può veramente avere una vita morale." Il ragionamento verte sull'universalità dell'etica che, per la sua natura universale, non può partire da un'entità metafisica poiché escluderebbe automaticamente i non credenti. Il compito dei filosofi, dal seicento in poi, fù quello di creare un etica, una filosofia morale, senza dio. Questa grande sfida non è mai stata portata a compimento. Una morale laica si è spesso scontrata contro una religione dell'amoralità fondata sui pilastri dello scientismo o con la strenua resistenza dell'unicità della morale fondata su Dio. Manca l'umanesimo, manca il liberalismo.
Questo mio breve (e superficiale) articolo non vuole essere una provocazione verso tutti coloro che credono, essi hanno il mio assoluto rispetto e la mia più grande stima quando, come moltissimi fanno, operano contro le ingiustizie e la povertà. Non penso lo facciano per la salvezza eterna ma lo fanno esclusivamente perché è coerente con la loro morale. Anche su questo blog, ho affermato spesso come gli studiosi cattolici siano i pochi ad aver mantenuto una forte critica nei confronti dell'amoralità dei sistemi economici. Non nego l'importanza individuale della spirualità ma nemmeno il ruolo sociale della religione e della Chiesa. Affermo semplicemente che dovremmo nuovamente porci l'obiettivo di creare una morale universale che non dipenda da Dio.
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