Il ritorno di Tom Yorke con Subterranea
A volte ritorna(no). Questa volta, però, si parla di Thom Yorke più che dei Radiohead. Torna dopo il secondo album da solista, “Tomorrow Modern Boxes”, rilasciato nel settembre 2014 e trasportato verso i canoni più estremi della sperimentazione (ripensando agli inizi di tutt’altra caratterizzazione di “Pablo Honey” e “The Bends”) e lo fa, come solitamente accade da oltre vent’anni a questa parte, lasciando il segno e toccando nel profondo l’incondizionato (e più che meritato) sostegno dei propri fans. Che hanno adorato “The Eraser”, l’album del debutto da solista, prima di potersi godere una delle migliori creazioni della band, “In Rainbows” (era il 2007, il disco della sperimentazione sul tema del download digitale e del “pay what you want”) e non hanno affatto disdegnato il progetto Atoms For Peace ed il lavoro di “Amok” (2013), in compagnia di grandi icone della musica del calibro di Flea e Joey Waronker e del fido compare Nigel Godrich. La più che lieta novità, tuttavia, è una di quelle notizie che lascia profondamente sorpresi, anche chi alle sorprese di Yorke è meravigliosamente abituato. Si tratta di “Subterranea”, lavoro i cui numeri giunti risultano impressionanti: 18 giorni, 432 ore di musica e 25.920 minuti, pare addirittura senza ripetizioni e con continue mutazioni che accompagneranno la ragione d’esistenza della creazione: la mostra “The Panic Office”, targata Stanley Donwood (21 maggio-6 giugno), collaboratore e autore delle copertine degli album della band britannica. “Subterranea”, questo il titolo del nuovo lavoro secondo la radio australiana Triple J, sarà dunque la colonna sonora dell’evento di un grande artista che da sempre ha voluto coniugare il successo dei Radiohead con il proprio fondamentale contributo (come si può fare a meno di non pensare a copertine come “Hail To The Thief”?) Dunque, appuntamento al Carriageworks di Sydney fino al 6 Giugno, per godere di un promettente e notevole intreccio tra il mondo dell’arte e quello della sperimentazione ambientale/musicale, senza dimenticare la possibile presentazione della copertina del nuovo album dei Radiohead.
2015: Ritorno e nuovo album targato Radiohead?
Cresce infatti l’attesa per il nono album: tante voci e presunte anticipazioni, poche certezze e notizie concrete, quanto meno sulle composizioni che ne faranno parte. Al momento si parla di lavori in corso e registrazioni ben avviate (novembre 2014), così come confermato da uno dei punti fermi della band e paradossalmente ultimo a prenderne parte, il chitarrista Jonny Greenwood: «Abbiamo passato un paio di mesi a registrare, ed è andato tutto molto bene. Non abbiamo più riascoltato nulla, e al momento della registrazione eravamo tutti molto contenti». Si è parlato inoltre di una rivoluzione del metodo di lavoro e di una mobilitazione che parte dalla musica occidentale sino ad arrivare a quella indiana. Dichiarazioni del febbraio 2015 che aumentano il desiderio di riabbracciare la band dopo quattro anni di silenzio: era il 2011, l’anno di “The King of Limbs”. E promettono peraltro benissimo anche se le dichiarazioni del batterista Phil Selway sembrano muovere verso la possibilità di una attesa più lunga del previsto, che rischia di andare oltre il 2015. Il mistero sulla data ufficiale resta, nonostante un recente tweet del 12 maggio dello storico produttore Nigel Godrich (detto del suo coinvolgimento in Atoms For Peace) con annesso scatto nel quale compare Greenwood, di spalle, in studio. Un altro dei piccoli indizi che ormai vengono sfornati in pillole e quasi con voluta moderazione dalla metà del 2014 a questa parte. Ciò che al momento allieta davvero, prescindendo da ipotesi su numeri e date è lo stato di grazia di un Thom Yorke sempre più inarrestabile ed instancabile.
Photo credit: angela n. / Foter / CC BY
A vent’anni da The Bends
La storia ci racconta che il 2015 potrebbe essere l’anno buono della pubblicazione in considerazione della curiosa ricorrenza degli anni di uscita degli otto album precedenti, tutti dispari (ad eccezione di “Kid A”, 2000) e lo stesso arco di tempo (4 anni) che intercorre tra “In Rainbows” e “The King of Limbs”. Il che, ripensando all’ecletticità dei membri, potrebbe non essere mai stato così casuale. A ciò si aggiungono i vent’anni dallo storico lavoro di “The Bends”, album della svolta prima della pietra miliare “Ok Computer” (1997). Era il 16 giugno 1995: la carriera dei Radiohead trovava una concreta ascesa, dopo un inizio tutt’altro brillante con l’album di debutto “Pablo Honey”, dal quale nonostante l’eccessivo brit pop bulimico e stereotipato dei primi anni novanta, viene fuori il singolo di lancio “Creep”, poi ripudiato e sempre più odiato da Yorke. Probabilmente perché i tempi sono cambiati e la vita è decisamente migliorata: non ci si sente più “creep” come quando l’inadeguatezza adolescenziale tende a manifestarsi in tutte le sue forme più buffe e persino drammatiche dinanzi ad un amore ossessivo e potenzialmente irraggiungibile.
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