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L'isola di Arturo (Morante)

Creato il 29 dicembre 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Le mille definizioni o interpretazioni che si trovano nei manuali di letteratura appaiono spesso vuote se non si leggono integralmente i testi cui si riferiscono: i più esperti critici alludono a contenuti profondi di opere che spesso a scuola sono rappresentati da stralci antologici non sempre così significativi.
L'isola di Arturo è un esempio di come tali letture critiche non abbiano la minima possibilità di descrivere un capolavoro. Scritto da Elsa Morante nel 1957 e insignito del Premio Strega, questo romanzo è tuttavia, come in generale tutte le opere di questa autrice e di diversi meritevoli suoi contemporanei, relegato dai programmi - e quindi dai testi scolastici - a riassunti di poche righe. Che, probabilmente, all'opera fanno più male che bene.
L'isola di Arturo (Morante)Le definizioni di classicismo ed epica attributi al testo non si possono infatti pienamente comprendere senza conoscere direttamente e completamente il testo: troppo ricca è la trama delle allusioni, la magia dello stile nel definire questo recupero di un sapore antico, che ha portato giustamente Cesare Garboli a parlare dell'Isola di Arturo come di «una piccola, criptica Achilleide resuscitata». Certo, anche questa mia recensione non può pretendere di restituire la pienezza del romanzo, che, come ogni grande libro, merita la conoscenza immediata.
Arturo Gerace è un bambino rimasto orfano di madre che vive a Procida con il padre, Wilhelm, anche se costui è costantemente in viaggio in mondi esotici e lontani, alla ricerca di avventure degne della sua grandezza (così, almeno, crede Arturo), sicché Arturo cresce grazie a Silvestro, che nei primi mesi di vita lo ha nutrito con latte di capra e nascosto ai genitori della madre perché non lo portassero via da Procida e in compagnia della sua fedele cagna Immacolatella, che lo accompagna nelle lunghe gite per mare con la Torpediniera delle Antille. Un giorno il padre torna da uno dei suoi viaggi con Nunziata (che Arturo nomina quasi sempre come N. o come la matrigna), una giovane poco più grande di Arturo che Wilhelm ha voluto sposare quasi per sfida, ma che, evidentemente né ama né rispetta. Arturo vive quella nuova presenza come un ostacolo frapposto fra sé e il padre, e la gelosia si acuisce con la nascita del fratellastro Carmine, che, per giunta, ha ereditato dal padre i bellissimi capelli biondi che Arturo non ha mai avuto. Tuttavia i viaggi di Wilhelm continuano e il rapporto di Arturo col genitore diventa sempre più debole e segnato di ostilità, soprattutto quando Arturo si rende conto che la sua invidia non è diretta contro ciò che secondo lui allontana da lui il padre, ma contro il padre stesso: una rivelazione che prende corpo quando Arturo scopre l'amore per Nunziata.
L'isola, con le sue lunghe estati, le spiagge battute da un mare blu e dalle schiume ondose, le stradine che si inerpicano per le chine e la maestosa Casa dei guaglioni dove Arturo vive appare come un piccolo mondo incantato che, nella sua aria assolata e salmastra, culla le giornate del ragazzino, che, più si fa uomo, più percepisce il distacco da ciò che in passato lo ammaliava.
Il centro del suo universo è la figura bellissima del padre, un eroe che non deve sottostare a nessuno e che, con la propria parola, riesce a creare mondi persino a rendere Arturo geloso degli amici che condividono mesi di avventure col genitore, mentre lui deve sentirsi ripetere continuamente che, per seguirlo per mare, deve prima crescere.
Aspetta d'esser cresciuto, per partire con me. Ebbi un pensiero di rivolta contro l'assolutezza della vita, che mi condannava a percorrere una Siberia sterminata di giorni e di notti prima di togliermi a questa amarezza: d'essere un ragazzino. Dall'impazienza, in quel momento, mi sarei perfino assoggettato a un lunghissimo letargo, che mi facesse attraversare senza accorgermene le mie età inferiore, per ritrovarmi, d'un tratto, uomo, pari a mio padre. Pari a mio padre! Purtroppo io (pensai, guardandolo), anche quando mi farò uomo, non potrò mai essere pari a lui. Non avrò mai i capelli biondi, né gli occhi viola-celesti, né sarò mai così bello! (pp. 44-45)
Il sogno di eroismo e grandezza di Arturo è alimentato dal suo amore per i libri, di cui ama soprattutto le avventure di viaggio e di guerra, che gli fanno addirittura desiderare di poter esplorare il cielo per sfidare un limite paragonabile a quello che gli antichi identificavano con le Colonne d'Ercole: la letteratura è il suo stimolo all'azione e alla vita, che lo rendono un moderno titano proteso a imprese memorabili.
I libri che mi piacevano di più, è inutile dirlo, erano quelli che celebravano, con esempi reali o fantastici, il mio ideale di grandezza umana, di cui riconoscevo in mio padre l'incarnazione vivente. [...] Quando Wilhelm Gerace si rimetteva in viaggio, ero convinto che partisse verso azoni avventurose ed eroiche: gli avrei creduto senz'altro se m'avesse raccontato che muoveva alla conquista dei Poli, o della Persia come Alessandro il Macedone. (p. 38)
Arturo si strugge nel desiderio di essere come il padre e di guadagnarsi la sua ammirazione con imprese di coraggio come le imprese di nuoto o i salti sugli scogli arroventati, ma Wilhelm è irraggiungibile e impenetrabile. Col passare dei mesi, Arturo abbandona sempre più il sogno, da principio totalizzante, di seguire il padre nei suoi viaggi, e prende coscienza di doversi separare da quell'immagine ingombrante del genitore e da Procida stessa per poter godere della propria individualità e di un amore che sia completamente suo.Con questo romanzo, Elsa Morante racconta in fondo una storia di formazione, la trasformazione di un bambino ricco di sogni e fantasie in un adolescente tempestato di dubbi e assalito da passioni troppo forti per essere contenute nel suo corpo (che, difatti, cresce con una velocità tale che Arturo ne coglie solamente le sproporzioni) e nella piccola isola di Procida.
Nelle scelte narrative e stilistiche dell'autrice si nota una perfetta capacità di coniugare la grande tradizione del romanzo, col suo ampio respiro, la solennità sintattica e le descrizioni particolareggiate, con gli slanci moderni dell'analisi psicologica. E allora si coglie quella che nel manuale di letteratura italiana di Luperini e Cataldi è l'idea di una «letteratura sentita come capacità di rivelazione e bellezza» che realizza una «tendenza ad una narrazione grandiosamente atteggiata» cui si unisce il «bisogno di meraviglioso».

L'isola di Arturo (Morante)

Elsa Morante con Maria Bellonci alla cerimonia
di consegna del Premio Strega (1957)

Elsa Morante trasporta davvero il suo lettore in una mitica Grecia calata in Italia, facendo di Arturo un piccolo eroe che si prepara alla battaglia, ma, fino a quel momento, gode della compagnia del sole, delle onde e dei ricci marini. Arturo trasfigura tutto il proprio mondo in un tempio, tratteggiando con realismo e immediatezza i personaggi che lo circondano, ad eccezione del padre, visto come una divinità marina. Eppure tale realiso non è mai deformante, anzi, appare talvolta necessario ad accentuare la monumentalità di certi personaggi: Nunziata, per esempio, è descritta fin dall'inizio come un'ignorante ragazzina napoletana (a suo avviso del tutto indegna del padre, se non per inchinarsi alla sua autorità), con abiti lisi e zoccoli in pessimo stato, eppure il narratore non esita a definirla Regina delle donne, notando come, fra le altre signore di Procida, dimostri «una specie di autorità matronale e quasi supremazia riconosciuta, nonostante la sua età più giovane della loro» (p. 181).
L'isola di Arturo, dunque, è un libro intriso di grandezza, che fonde, nella prospettiva semplice e ingenua di un ragazzo, il sogno e la difficoltà della sua realizzazione, nascondendo, dietro un'allegoria di sapore classico e mitizzato, un cammino che, in qualche modo, accomuna la gran parte degli esseri umani.
Io, da quando sono nato, non ho aspettato che il giorno pieno, le perfezione della vita: ho sempre saputo che l’isola e quella mia primitiva felicità non erano altro che una imperfetta notte; anche gli anni deliziosi con mio padre, anche quelle sere là con lei! Erano ancora la notte della vita, in fondo l’ho sempre saputo. E adesso, lo so più che mai; e aspetto sempre che il mio giorno arrivi, simile a un fratello meraviglioso con cui ci si racconta, abbracciati, la lunga noia… (p. 187)
C.M.

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