Il calcio è un fenomeno unico nel suo unire (e dividere) la nostra nazione. Tutti hanno sentito un brivido freddo scendere lungo la schiena quando Valentino Rossi è caduto, alcune settimane fa, al Mugello. I nostri occhi rimanevano incantati dalle acrobazie che facevano roteare il corpo marmoreo di Yuri Chechi. Tratteniamo il fiato quando entra in vasca Federica Pellegrini, respirando a boccate grosse con lei, a pelo dell’acqua. Siamo una nazione unita, attorno ai nostri campioni. Ma non nel calcio. Quello è un’altra storia.
Ieri l’Italia ha perso, vergognosamente cacciata via da un mondiale che avrebbe dovuto ribadire la grandezza dei campioni del mondo in carica (ancora per una manciata di giorni). E invece no. L’Italia non c’era e non c’è mai stata in queste settimane di gioco. Gli azzurri che ci hanno fatto salire sul tetto del mondo erano altrove, chi fisicamente a casa, chi sul campo, ma con la testa in spiaggia.
E allora ecco che i ct si moltiplicano a dismisura. I commentatori danno consigli ai microfoni, illusi di essere ascoltati dai giocatori. Nei bar le imprecazioni contro Lippi si differenziano per accento e intonazione, ma non per contenuto.
Si può tornare a casa, ultimi del girone, senza un minimo di dignità difesa? Sì, se l’impegno è rimasto in panchina tutto il tempo.
Undici in campo, milioni a casa. Nessuna differenza. Tutti umiliati, ora che non siamo più i migliori. Tutti fieri, quattro anni fa, per una finale vinta ai rigori. Ma i campioni del mondo non dovrebbero avere quel qualcosa in più che fa la differenza? L’orgoglio di giocare a nome di e per un intero popolo? Bei rappresentanti, verrebbe da pensare…
E i campioni, quelli veri che nessuno ha ancora scovato? Usciranno fuori un giorno o invecchieranno all’ombra di club che ingaggiano solo stranieri (perché noi l’orgoglio nazionale, proprio non sappiamo cosa sia)?
Nessuno è profeta in patria, ma Lippi e seguito oggi, e per i prossimi giorni, saranno di certo portatori non tanto sani di vergogna.
Passerà, il tempo di un’estate e la panchina azzurra ci sembrerà ancora la più bella del mondo.
Passerà, come tutto, come sempre.
Perché i bambini (giocatori e tifosi di domani) non provano rancore. Ed è così che ieri pomeriggio, in lacrime per l’Italia sconfitta, mio figlio (sei anni e mezzo) mi ha guardato con gli occhi rossi e, tra un singhiozzo e l’altro, ha detto: “Mamma, io continuo a tifare Italia. Non importa se oggi hanno perso.”
Barbara Greggio
Magazine Società
Il calcio è un fenomeno unico nel suo unire (e dividere) la nostra nazione. Tutti hanno sentito un brivido freddo scendere lungo la schiena quando Valentino Rossi è caduto, alcune settimane fa, al Mugello. I nostri occhi rimanevano incantati dalle acrobazie che facevano roteare il corpo marmoreo di Yuri Chechi. Tratteniamo il fiato quando entra in vasca Federica Pellegrini, respirando a boccate grosse con lei, a pelo dell’acqua. Siamo una nazione unita, attorno ai nostri campioni. Ma non nel calcio. Quello è un’altra storia.
Ieri l’Italia ha perso, vergognosamente cacciata via da un mondiale che avrebbe dovuto ribadire la grandezza dei campioni del mondo in carica (ancora per una manciata di giorni). E invece no. L’Italia non c’era e non c’è mai stata in queste settimane di gioco. Gli azzurri che ci hanno fatto salire sul tetto del mondo erano altrove, chi fisicamente a casa, chi sul campo, ma con la testa in spiaggia.
E allora ecco che i ct si moltiplicano a dismisura. I commentatori danno consigli ai microfoni, illusi di essere ascoltati dai giocatori. Nei bar le imprecazioni contro Lippi si differenziano per accento e intonazione, ma non per contenuto.
Si può tornare a casa, ultimi del girone, senza un minimo di dignità difesa? Sì, se l’impegno è rimasto in panchina tutto il tempo.
Undici in campo, milioni a casa. Nessuna differenza. Tutti umiliati, ora che non siamo più i migliori. Tutti fieri, quattro anni fa, per una finale vinta ai rigori. Ma i campioni del mondo non dovrebbero avere quel qualcosa in più che fa la differenza? L’orgoglio di giocare a nome di e per un intero popolo? Bei rappresentanti, verrebbe da pensare…
E i campioni, quelli veri che nessuno ha ancora scovato? Usciranno fuori un giorno o invecchieranno all’ombra di club che ingaggiano solo stranieri (perché noi l’orgoglio nazionale, proprio non sappiamo cosa sia)?
Nessuno è profeta in patria, ma Lippi e seguito oggi, e per i prossimi giorni, saranno di certo portatori non tanto sani di vergogna.
Passerà, il tempo di un’estate e la panchina azzurra ci sembrerà ancora la più bella del mondo.
Passerà, come tutto, come sempre.
Perché i bambini (giocatori e tifosi di domani) non provano rancore. Ed è così che ieri pomeriggio, in lacrime per l’Italia sconfitta, mio figlio (sei anni e mezzo) mi ha guardato con gli occhi rossi e, tra un singhiozzo e l’altro, ha detto: “Mamma, io continuo a tifare Italia. Non importa se oggi hanno perso.”
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