I debuttanti di cui parliamo non sono i giocatori al primo anno, infatti loro, scelti al Draft, chi più chi meno chi minuti importanti chi garbage time, ogni anno giocano sempre nella NBA; i rookie che prendiamo in riferimento invece sono gli allenatori, ben 9 infatti a fine ottobre quando la Lega alzerà la prima palla a due stagionale saranno al loro debutto assoluto su una panchina NBA. L’esperienza ce l’hanno tutti o quasi, maturata come assistenti o come allenatori al college o nella D-League, ma fare l’Head Coach non è una cosa semplice e il passaggio da una posizione ad un’altra non è per nulla facile, visto anche che spesso la squadra che decide di puntare su un volto nuovo è una in piena ricostruzione o che vuole puntare forte sui suoi giovani. La brutta figura quindi è dietro l’angolo e il rischio esonero dopo non molti mesi è vivo, forse più che per coach attempati e abituati a gestire pressione, vittorie e sconfitte.
Come detto molti dei 9 volti nuovi seduti sui pini NBA hanno una lunga esperienza come assistenti: Steve Clifford che guiderà i Charlotte Bobcats, fa il vice dal 2000 (è passato per New York Knicks, Houston Rockets, Orlando Magic e Los Angeles Lakers) e finalmente qualcuno gli ha dato una chance importante. Capita però in una delle franchigie più “sfigate”: con un proprietario difficile da gestire (un certo Michael Jordan…), tanti giovani, una storia non troppo positiva, ma con un Al Jefferson preso dal mercato dei free agent per fare il leader, tecnico e non.
Mike Budenholzer è probabilmente quello che più se lo meritava tra tutti, perchè essere assistente agli Spurs dal 1996 vuol dire aver immagazzinato tutte le informazioni più importanti presenti nella Lega. La chance gliel’hanno data gli Atlanta Hawks (dell’amico Danny Ferry) ma siamo sicuri che prima o poi sulla panchina dei neroargento andrà a sedersi.
Brian Shaw sarà l’head coach del nostro Gallinari ai Denver Nuggets, dopo essere stato il vice ai Lakers e ai Pacers: l’eredità lasciata da George Karl è pesante e i cambiamenti sono stati molti, in una squadra che punta in alto ma con le idee non chiarissime c’è la possibilità di bruciarsi.
Michael Malone è un altro di quelli che la gavetta l’ha fatta per davvero e adesso dovrà far vedere di saper cogliere l’attimo e l’occasione. Dopo 12 anni di assistentato (Knicks, Cavaliers, Hornets e Warriors) aveva parecchie offerte, ha scelto i Sacramento Kings dove trova un gruppo di giocatori di talento ma con caratteri difficili, alcuni da recuperare, altri da sistemare in nuove posizioni sul campo.
Brett Brown è uno di quelli della “scuola Spurs“, allievo di coach Popovich cercherà di portare ai Philadelphia Sixers proprio la mentalità che ha reso grande la franchigia neroargento, ma non sarà per nulla facile; il roster è veramente di basso livello, infarcito di giovani, in piena fase re-building e senza il leader (seppur giovane) Jrue Holiday, ceduto la notte del Draft per il centro Noel.
Poi ci sono due nuovi coach che non hanno dovuto attendere molto per avere la loro grande possibilità: Jeff Hornacek prende in mano dei Phoenix Suns che sanno di avere dei grossi limiti e che stanno guardando al futuro più che al presente, e lo fa dopo due anni da assistente ai Jazz. Un po’ più lunga la gavetta di David Joerger che scelto nel 2007 come vice ai Memphis Grizzlies non si è mai mosso, venendo così promosso al posto di Lionel Hollins. Trova uno spogliatoio un po’ in subbuglio e un nuovo proprietario che si potrebbe definire come “rampante”.
Infine ci sono le due eccezioni: Brad Stevens è una storia a se stante dell’intero mondo del basket, perchè a soli 31 anni è divenuto capo allenatore all’università di Butler, portandola in sole sei stagioni a giocarsi due volte la finale per il titolo NCAA (2010 persa con Duke e 2011 con Connecticut). Risultati incredibili ottenuti con un college veramente piccolo e fino a quel momento anonimo, ma che gli sono valsi la chiamata questa estate da parte di Danny Ainge e i Boston Celtics, per rinascere dopo le partenze di Pierce e Garnett hanno scelto un debuttante, giovane, ma con grandissima voglia e in rampa di lancio.
L’altro caso “strano” è Jason Kidd passato direttamente dall’essere playmaker dei New York Knicks a coach dei Brooklyn Nets; un passaggio importante, da una sponda all’altra della città, e che mette l’ex play di fronte a una sfida difficilissima viste le spese fatte in estate dal proprietario Prokhorov, con gli arrivi di Pierce, Garnett, Terry e Kirilenko dal mercato, che rendono i Nets, almeno sulla carta, una delle candidate alla vittoria del titolo. Riuscirà però Kidd a passare da essere allenatore sul campo a head coach? Lo sperano tanto i tifosi di Brookyln che sognano una stagione stellare e di stare davanti agli odiati cugini.
L’NBA come detto è un campionato difficile in cui oltre che allenare i giocatori sul campo bisogna tenerli a bada anche psicologicamente e si deve affrontare la stampa e l’opinione pubblica, due “nemici” se le cose non vanno molto bene. Affidarsi ad un debuttante in panchina quindi sarà la scelta giusta? Lo sperano Hawks, Celtics, Nets, Kings, Sixers, Grizzlies, Nuggets, Bobcats e Suns, per non rischiare di ritrovarsi con una stagione fallimentare e un futuro da ricostruire di nuovo.