Pur non abitando a Milano, da tempo seguo quella che ormai è diventata una telenovela: l’interminabile discussione sulla realizzazione di una grande moschea a Milano.
Non seguendo la cronaca milanese, non ho titolo per esprimere opinioni sull’operato della Giunta Pisapia, ma avendo qualche esperienza e interesse circa le moschee, ho seguito l’evolversi della vicenda che sta, a mio avviso, coprendo di ridicolo l’Amministrazione milanese, minando la reputazione del Capoluogo lombardo. Una cosa che andrebbe evitata, specie in vista di EXPO 2015. Invece sembra che, pur di dare a chi la chiede una grande moschea, si stiano ignorando sia le leggi dello Stato che quelle del buon senso.
Ripercorriamo brevemente le tappe della vicenda.
Sbandierata con verve durante la campagna elettorale, la moschea di Milano rientra a pieno titolo tra le promesse elettorali (non ancora mantenute) del Sindaco Pisapia. Appena eletto, però, il primo cittadino meneghino ha preferito optare su altro: una ricognizione delle sale di preghiera presenti nell’ottica di “legalizzarle“. Una scelta strategicamente intelligente: portare alla luce del sole ciò che è finora è stato fatto “di soppiatto” avrebbe risparmiato alla Giunta milanese il clamore, le polemiche e le grane che regolarmente accompagnano moschee presenti e annunciate. Al contempo la sinistra milanese avrebbe dimostrato sensibilità alle istanze delle minoranze etnico-religiose, accattivandosene il voto. Una scelta discutibile però sul piano normativo: la maggior parte delle sale di preghiera (musallayat) figurano sulla carta come sedi di Associazioni di Promozione Sociale (APS) e come tali (a differenza dei luoghi di culto) possono sorgere ovunque senza intoppi burocratici e urbanistici. Giova però ricordare, come ha fatto il Consiglio di Stato con la sentenza 181 del 2013, che la legge consentirebbe l’attività di culto all’interno delle sedi delle APS solo in misura marginale, mentre in realtà spesso si tratta dell’attività preponderante, se non l’unica. Appare quindi quantomeno discutibile sul piano della legalità che il Comune di Milano voglia “legalizzare” quei luoghi di culto “de facto” che lo sono in palese (e strumentale) violazione della legge sull’associazionismo. Legittimare queste realtà sarebbe un premio a chi ha operato per anni in modo irregolare. A salvare Pisapia dalle potenziali ire del Consiglio di Stato ci ha pensato un anno fa il Cordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano, Monza e Brianza (CAIM) dichiarando di voler prendere in gestione il Palasharp (oggi il più grande centro di aggregazione islamica della città) e presentando, pochi giorni fa, un progetto faraonico: edificare al suo posto una moschea di due piani capace di accogliere 3000 fedeli e con annessi ristorante, biblioteca e parco, il tutto realizzato in tempo per EXPO 2015 e senza chiedere un soldo al Comune. Mancava solo il set di pentole della Mondialcasa in omaggio e sarebbe sembrata la più allettante offerta mai ricevuta dalla città.“Peccato” che a rompere le uova nel paniere del CAIM sono stati gli stessi musulmani, quelli facenti parte delle associazioni islamiche escluse dal CAIM (ma non sono mancati i battitori liberi) che lo accusano di essere vicino ai Fratelli Musulmani, di rispondere a interessi di nazioni estere e di voler instaurare un potentato sui fedeli di Milano. La Giunta Pisapia si è vista, a malincuore e con visibile imbarazzo, costretta a fare un passo indietro.
L’ultima puntata risale a mercoledì 19 marzo 2014. Alcune testate riportano di come Palazzo Marino starebbe trattando con rappresentanti del Marocco e della Giordania ai quali si vorrebbe affidare sia la costruzione che la futura gestione della moschea. Da una prospettiva laica, è innegabile che Marocco e Giordania siano degli interlocutori preferibili ai Fratelli Musulmani ma sono e restano Stati esteri che legittimamente coltivano i propri interessi.
Non altrettanto legittimo, o quantomeno discutibile, è il fatto che le istituzioni locali di uno Stato laico, nell’ambito della realizzazione di ciò che viene spacciato come un semplice luogo di culto, debbano ridursi a trattare con le rappresentanze pseudoteocratiche degli Stati islamici. Per carità, che i musulmani residenti a Milano abbiano (come nel resto d’Europa) qualche difficoltà ad assimilare, o anche solo ad accettare, la separazione tra Stato e Chiesa, non sorprende.
Ciò che sorprende e, soprattutto, spaventa più dei Fratelli Musulmani, più delle monarchie mediorientali è l’ostinazione e il servilismo dell’Amministrazione milanese, la quale, nonostante tutti gli episodi, i moniti, gli appelli e gli intrighi internazionali che orbitano attorno alla vicenda, continua a bramare la moschea più degli stessi fedeli. Almeno Pisapia abbia l’onestà di non chiamare “luogo di culto” ciò che anche il più ingenuo degli osservatori ha colto essere ben altro…