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L'umana vanità

Creato il 14 dicembre 2010 da Jollyroger
Non ne avevo parlato fino ad oggi per una sorta di imbarazzante scaramanzia.
Io stesso mi sorprendo in atteggiamenti che non mi appartengono, ma le delusioni sono tali e tante che uno alla fine le prova tutte.
Insomma, da quando con mia moglie abbiamo rispolverato la voglia, o il bisogno di fare qualcosa di artistico e di cimentarci nuovamente con ciò che ci aveva accompagnato per tutti gli anni del liceo, in modo da aprire maggiormente il ventaglio di potenziali possibilità lavorative, non era ancora successo alcunché di eclatante. Sì, qualche pubblicazione su siti e blog sull’arte, una mostra collettiva di un paio di giorni, ma niente di concreto, nulla di economicamente rilevante.
Fino a qualche giorno fa quando, una galleria, fra le centinaia che abbiamo contattato via mail, si fa sentire per telefono. È di Torino, zona centrale, la curatrice si definisce interessata al nostro lavoro e vorrebbe vedere e toccare i nostri lavori di persona.
Cazzo! La fantasia comincia a galoppare verso mostre personali, quotazioni, richieste, e la realizzazione di un sogno: vivere grazie alla passione di fare ciò che più desideriamo. Non abbiamo grandi ambizioni, ci basterebbe fare gli artisti da “mezza classifica”, quelli quotati quel tanto che basta per vivere senza problemi, senza le rotture di scatole della notorietà. È un film, è la fantasia, e sognare, per ora, non costa nulla. Credo che ognuno covi il proprio sogno, più o meno megalomane, e credo sia giusto che ognuno continui a coltivarlo, a sperare che un giorno, prima o poi, possa avverarsi.
Soldi non ce ne sono, ma intraprendiamo comunque questa trasferta torinese carichi di tele e sculture. Non torniamo a Torino da più di vent’anni; dai tempi di una gita organizzata dal dopolavoro della rai. L’impressione è quella di una periferia degradata a ridosso del centro. Vialoni larghi, lunghi e malinconici anche nel basso sole invernale, tanti barboni che, a Milano, probabilmente siamo stati più bravi a nascondere sotto il tappeto. Mi spiazzano questi viali che si incrociano ad angolo retto, la loro larghezza, sproporzionata alle dimensioni di una città che appare caotica e allo stesso tempo cortese. Sarà la suggestione, ma sembra davvero di respirare un’aria da ancien régime. Le bottegucce di esoterismo si mischiano alle panetterie che espongono in vetrina fasci di grissini. L’impressione è che ci siano ancora tante “botteghe”, un microcosmo variegato e vivo che Milano ha ormai dimenticato, ma anche una vena di tristezza, un freddo apparente, forse per le montagne coperte di neve che incombono dagli squarci tra le case.
Suoniamo alla galleria che sta in un bel palazzo d’epoca. La curatrice è una signora sui sessanta, elegante, i capelli grigi non tinti tagliati a caschetto lungo. Ci fa accomodare e, dopo le solite cazzate per rompere il ghiaccio, cominciamo a mostrare i lavori. Comincio con una serie di stampe digitali con interventi manuali vari. È roba un po’ forte e mi rendo conto che invece di rompere il ghiaccio ho srotolato sul tavolo un vero e proprio iceberg. Riarrotolo di gran carriera, mentre mia moglie estrae le sue tele. La signora mi pare indifferente, come se non le importasse nulla di ciò che le stiamo mostrando e aspettasse invece di vedere quello a cui è davvero interessata. Infatti quando le mostriamo i robot in materiali riciclati si rianima, li dispone sul pavimento per osservarli meglio.
Dice che da anni organizzano una rassegna artistica in una località ligure e che sarebbe interessata a esporre i robot. Dato che però ci sono delle spese da affrontare (movimentazione delle opere, catalogo, manifesti, ufficio stampa, eccetera) ad ogni artista selezionato devono richiedere un contributo di trecento euro.
Eccola là, che devo dire? Che il novantanove per cento degli italiani che si reputano artisti pagano e pagherebbero qualsiasi cifra per una misera mostra? Che dovrei fare la fine dei tanti sedicenti scrittori che pubblicano le loro impareggiabili opere a proprie spese?
No, proprio non mi va di fare quello che è andato per suonare e che finisce per essere suonato. Dico che sono molto lusingato dall’offerta e che una delle opere sia stata così gradita, ma per ora ci siamo già esposti economicamente per la realizzazione dei lavori e non ce la sentiamo di esporci ulteriormente.
Sembra delusa, e meravigliata. Probabilmente sono in pochi a rifiutare la possibilià di esibire il loro narcisismo dietro il pagamento di una cifra nemmeno così esosa. Confesso che se non navigassi in acque così torbide e profonde un pensierino ce l’avrei anche fatto. Ma la ragione di fondo è che nella mia vita non ho mai comprato né il diritto al lavoro, né la possibilità di essere ciò che non sono. Tutto quello che è stato, che ho fatto, che ho guadagnato, che sono diventato, è stata una strada in salita, nessuno mi ha dato spinte, nessuno mi ha permesso di attaccarmi al suo carro, nessuno mi ha mai offerto un sorso d’acqua.
In un mondo come il nostro è da stupidi comportarsi così, lo so, ma non voglio e mai vorrò vedere il mio nome su una di quelle patetiche cartoline in cui pseudo artisti si incensano inanellando partecipazioni a mostre misconosciute e critiche da parte di insigni cialtroni.

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