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La ballata della vescica gonfia

Da Paperoga

La ballata della vescica gonfiaMi pare di aver già scritto da qualche altra parte di un’altra mia disavventura vescicale, ma tanto fa, beccatevi anche questa.
Ordunque mi trovavo nella ridente Reggaemilia, mia originaria patria emiliana adottiva, per accompagnare Sunofyork ad una visita medica. Decido di aspettarla fuori dal centro medico, un po’ cazzeggiando in macchina, un po’ passeggiando lungo i viali alberati proprio vicino alla mia vecchia casa. Fatto sta che passano dieci, venti minuti, trenta, e mi accorgo ho bisogno di orinare. Dopo i trenta il bisogno diventa esigenza pressante. Dopo i quaranta diviene emergenza.
Niente panico, mi dico, sono in piena città, e si tratta di una città che conosco come le mie tasche. So esattamente dove andare. Tra cinque minuti sarà tutto risolto.
Quanto mi sbagliavo.

Primo tentativo di orinare: il discount.
Accanto al centro medico c’è un discount. Ci sarà un bagno come in tutti i supermercati, mi dico. Facile, entro, fingo di guardare gli scaffali, e mi infilo in bagno. Manco per niente. Di bagni non c’è traccia. Si risparmia sui prezzi, ma anche sui vespasiani. Come non detto. Esco senza comprar nulla. La situazione è mediamente grave ma sotto controllo. Ogni tanto sotto il lungo cappotto do una aggiustatina alle pudenda per anestetizzare qualunque bisogno impellente.
Secondo tentativo di orinare: il fiume.
Si avete capito bene, il fiume. Nsomma, poi, chiamiamolo torrentello. Ad ogni modo, accanto al discount c’è un corso d’acqua con tanto avvallamento e greto, il che promette, tra le frasche degli alberi adiacenti all’acqua, una tranquilla e discreta pisciata senza incorrere in denunce per atti osceni. Mi infilo dunque nel sentierino scendendo verso il fiume, sono pronto lì a sbottonare già la patta, che davanti a manco 5 metri mi si para la scena di due spacciatori intenti, tra i cespugli, a scambiarsi dosi e denaro. Facce lombrosianamente dedite all’omicidio a sangue freddo. Mi pianto immobile, e subito a passo di gambero retrocedo risalendo il sentiero, sperando la madonna che non mi vedano. Le possibili evoluzioni della situazione vanno da quattro semplici vaffanculi da parte dei simpatici commercianti, del tipo “razza di mattacchione, accipicchia che spavento ci hai fatto prendere” fino a una bella seguitata punitiva a caccia dello spione allo scopo di chiudergli la bocca per sempre e buttarlo nel fiume assieme alle nutrie.
Evidentemente la mia ritirata è così silenziosa che nessuno si accorge di niente. In quei trenta secondi, e solo per quei trenta secondi, scompare qualsiasi bisogno di orinare. In compenso mi sono quasi cagato addosso.
Terzo tentativo di orinare: il bar.
Cammino sempre più a chiappe strette, tenendo a bada l’impianto di irrigazione quasi fuori controllo. Mi dico ma come diavolo non ho fatto a pensarci, vai in un qualsiasi bar, prenditi un crodino e sfogati nel loro cesso, no? Bene. Conosco un paio di bar nella zona, mi ci appropinquo. Il primo è chiuso. Il secondo è chiuso. Me ne ricordo un terzo, ma è diventato una gelateria (e nelle gelaterie non ci sono bagni, vai a capire perchè). Continuo a vagare. Cominciano a levarsi lamentazioni sorde dalla mia bocca. Richieste di aiuto. Piccole stille di disperazione. Incrocio fiorai, tabaccai, macellerie equine, due ferramenta, un riparatore di orologi e un calzolaio. Sono pronto ad acquistare qualunque prodotto in qualunque negozio abbia un bagno per clienti. Una roncola, un controfagotto, una bambola gonfiabile, compro qualsiasi cosa per un cesso. Niente. Le chiappe sono sempre più strette, e sotto il cappotto comincio a tenere stretto ad intermittenza lo strumento che noi maschi usiamo per fare la pipì.
Quarto tentativo: una bottiglietta.
Si avete capito bene. Sono disperato. La vana ricerca di bagni mi ha portato a quasi un km dalla macchina quando ricordo che ho l’auto piena di bottiglie d’acqua mezze vuote. Se mi siedo in un certo modo in auto, adagiando il coso in un cert’altro modo, posso farla in una bottiglietta e disfarmene prima che arrivi la polizia. Torno trafelato ma sempre senza movimenti inconsulti. Arrivo alla macchina, apro il vano bagagli, e non c’è nulla. Tutto ripulito. Giorni fa. Ho fatto pulizia di questo immondezzaio alcuni giorni fa. Ziocane. Gli unici contenitori disponibili sono un imbuto e la scatola di plastica delle catene da neve. Sono finito. Le lamentazioni sorde lasciano spazio ad un avvertibile latrato di paura. Mi sto per pisciare addosso. Lo dico a voce alta, come per avvertire me stesso. Poi, il lampo di genio.
Quinto tentativo: l’agenzia di scommesse.
Ma si dannazione, l’agenzia di scommesse! Ci ho passato 7 anni reggiani dentro, a guardare di straforo le partite della juve assieme ad improbabili avventori di ogni estrazione sociale. E’ a massimo 300 metri da qui! L’ultimo sforzo, dannazione, ce la posso fare. Mi rimetto in cammino. Sembro un marciatore olimpionico. Il mio cappotto da maniaco consente di respingere con la pressione delle dita le contrazioni della vescica pulsante. A metà strada vedo che un tipo che vuole scroccarmi degli spicci, fa per fermarmi con la mano, poco ci manca che gli urli in faccia tutto d’un fiato “TOGLITI DAL CAZZO PEZZO DI IDIOTA CHE MI STO PISCIANDO ADDOSSOOOO!”, ma riesco a a scartarlo con maggiore stile. Vedo l’agenzia da lontano. Prego che non sia un miraggio e, sopratutto, che sia aperta. Ci arrivo quasi inciampando, confusamente delirando a bassa voce. E’ tutto come l’ho lasciato. Anche peggio. Ci sono scarti di galera con gli occhi di bragia che fissano i monitor delle corse ippiche, uomini di mezza età con la pelle butterata e il giubbotto di pelle che cercano ricevute di giocate nel cestino dell’immondizia. Gruppetti di immigrati che farfugliano in arabo su scommesse calcistiche, infervorandosi. Giovani dall’aspetto smunto inchiodati ai videopoker. Cani sciolti di etnia incerta vagano inquieti tra i monitor, pianciuti immigrati calabresi di lungo corso discettano in lingue incomprensibili di cose misteriose. Mi faccio largo e ritrovo il bagno. Due sono chiusi, uno è aperto. Entro, ed è il trionfo. La resurrezione. La vescica si svuota come una bisaccia. Il viso solcato dai latrati silenziosi, dalla paura e dalla sofferenza, rinasce in un sorriso proprio lì, in un bagno lercio senza chiave e con poca luce, col rischio concreto di uno stupro anale da parte di uno dei galantuomini presenti in loco. Anzo gli occhi al cielo, e in quel minuto (UN MINUTO DI SQUASSANTE PISCIATA ININTERROTTA) sento di possedere superpoteri, vedo attraverso il tempo, viaggio nello spazio interstellare, mi accoppio con Charlize Theron.
Esco dal bagno come escono dalla Chiesa di Westminster i re appena incoronati. Quasi dispenso benedizioni a tre dita. In un impulso di empatia vorrei abbracciare tutti i galeotti, gli spacciatori, i gioco dipendenti presenti, o quanto meno offrigli una sambuca. Fuori il cielo plumbeo sembra un’aurora boreale.
Sono rinato dentro un bagno di un’agenzia scommesse, e mi sembra la cosa più naturale del mondo



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