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La bambina che tesseva con le penne

Da Vale
Pochi giorni fa l'Uno si è ricordato del suo compagno che all'improvviso a all'insaputa di tutti si era trasferito in un'altra scuola. Ne avevo parlato qui, a proposito del provare dolore e del cercare di proteggere i propri figli.
"Chissà come sta?"
Mi chiede.
Capisco l'Uno.
Anche perché durante le scuole elementari avevo una compagna, Anna, con cui ero molto legata.
Era di origini toscane e sapevo che era in prestito in questa terra brianzola.
Aveva quest'accento meraviglioso e per me così esotico.
Aveva un fratello più grande e quando andavo a giocare a casa sua ci faceva sentire della musica strana e la loro camera era tappezzata di foto di David Bowie.
Vivevano in un appartamento di un bellissimo complesso centrale della nostra città, tanti appartamenti, un enorme giardino, tantissimi bambini il pomeriggio con cui giocare in cortile.
Solo ora mi rendo conto ripensando a lei, che negli anni a seguire la planimetria del suo appartamento è diventata per me la geografia familiare di tutti i romanzi che ho incontrato nella vita. Nel suo appartamento ho ambientato tutti i libri che ho letto e molti dei sogni a occhi aperti che ho fatto.
L'invidiavo perché aveva una cameretta in comune con suo fratello, mentre io ero isolata nella mia vasta e fredda stanza. L'invidiavo perché lei non poteva mai venire a casa mia, perché io il pomeriggio stavo dai nonni. L'invidiavo perché lei aveva una mamma che faceva le torte anche se non era festa. L'invidiavo perché i pomeriggi giocava con almeno una decina di amici e solo da lei si poteva fare un "guardie e ladri" decente.
Ma soprattutto ammiravo la sua calma, la sua compostezza, il suo sorriso dolce. E invidiavo le sue abilità: durante l'intervallo prendeva la mia o la sua penna colorata (quelle che si usavano negli anni ottanta, profumate da far venire il mal di testa) e cominciava con la punta a fare l'uncinetto. Ricordo il vago profumo della penna, i nostri grembiuli bianchi che si sfioravano, il silenzio di ammirazione e le sue magre mani che lavoravano.
Perché la mia era un invidia che si riversava solo su di me e che già a otto anni metteva in dubbio il mio stile di vita, le mie relazioni e sì un po' soffrivo, ma un po' mi sentivo un'eletta ad avere Anna accanto a me.
Lei è un'altra BDGO, che Stima ha così ben definito, ha un volto pallido pallido, corti capelli castani e due occhi blu grandi come il cielo.
Un giorno d'estate Anna mi dice che se ne va. Torna in Toscana. Anzi, non me lo dice lei, me lo dice sua mamma, alta alta, un giorno sulla porta di casa sua. Anna abbassa gli occhi come me, accomunate da un dolore inenarrabile.
Da brave amiche i mesi successivi ci scriviamo. Poi sempre più raramente. Fino al silenzio.
Io la cerco ancora Anna.
Ogni tanto digito il suo nome e cognome su fb. E analizzo invano i volti.
Ma lei non c'è mai. Devo convincermi forse che Anna deve restare lì, tra quei dolci e un po' struggenti ricordi.
E forse anche l'Uno lo deve fare.


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